Leonardo Sinisgalli nasce a Montemurro (Potenza) nel 1908. Seguendo i suoi genitori, frequenta
le scuole medie inferiori a Caserta e a Benevento. Nel 1926 si trasferisce a Roma. Qui si iscrive alla Facoltà d’ingegneria. Nel 1932 si laurea in ingegneria elettrotecnica e industriale. Intanto frequenta l’ambiente artistico-letterario romano e collabora alla “Fiera Letteraria”. Fa il servizio militare a Lucca e a Roma.
Nel 1933 si trasferisce a Milano, dove si occupa, senza tralasciare l’attività letteraria, di pittura, architettura, grafica e pubblicità. Dal 1937 ai 1940 dirige l’ufficio pubblicità della industria Olivetti.
Sempre nel 1940 viene richiamato per il servizio militare che svolge per due anni in Sardegna. Nel 1942 viene trasferito a Roma e vi rimane fino alla fine della guerra. Qui collabora ai programmi culturali della RAI.
Nel 1948 va a Milano come consulente della Pirelli e come direttore della rivista che pubblica la stessa casa. Nel 1953 torna a Roma, dove fonda e dirige la rivista “Civiltà delle macchine”. Nel 1959 viene invitato da Enrico Mattei a dirigere i servizi di pubblicità della ENI. Nel 1961 vince il Premio Etna-Taormina. Successivamente fa per alcuni anni il consulente dell’ALITALIA. Fonda una rivista di design
“La botte e il violino” per conto di una industria di arredamento.
Insieme alla letteratura coltiva la passione per il disegno e l’arte in genere. Con i suoi numerosi disegni organizza diverse mostre e pubblica libri. Come poeta viene scoperto e lanciato da Giuseppe Ungaretti. Il suo primo libro di poesie è del 1936 “Diciotto poesie”. Seguono: “Campi Elisi”, 1939; “Vidi le muse”, 1943; “I nuovi Campi Elisi”, 1947; “La vigna vecchia”, 1952; “Quadernetto”, 1955; “Banchetti”, 1956; “Tu sarai poeta”, 1957; “L’età della luna”, 1962; “Un pugno di mosche”, 1963; “Poesie di ieri”, 1966; “Il passero e il lebbroso”, 1970; “Mosche in bottiglia”, 1975.
Leonardo Sinisgalli muore a Roma nel 1981. In un suo scritto Sinisgalli sostiene che “La poesia è un PRIMUM, è un corpo semplice e non sopporta la violenza di macchinose manipolazioni”. Come a dire che il poeta non deve manomettere il frutto della prima ispirazione se non vuole stravolgere il gioco lirico nato spontaneamente.
E questo vale principalmente per le composizioni in cui il poeta ricorda la campagna della Basilicata, allora ammirata, ora sognata, con la possibilità, però, di cantarla amorevolmente in telegrammi lirici. In effetti il poeta osserva il mondo circostante con un senso di stupore. Poi cerca di concentrare in poche parole i tanti pensieri che fanno ressa nella sua mente.
Leonardo Sinisgalli lo possiamo situare nella schiera dei poeti ermetici, ma è il cantore del meridione e dei suoi campi pieni di sole e di uomini avvezzi alla fatica. Il tema quasi bucolico non gli permette di usare vocaboli ricercati in uso tra gli ermetici. La sua è una poesia immediata, elementare negli enunciati; i versi sono scorrevoli perché non hanno preoccupazioni di natura estetica. Quella di Sinisgalli è una poesia che va subito al dunque e solo raramente tende a nascondere il significato a cui mira.
Dagli ermetici, però, ha preso il piacere della composizione breve che in un lampo lirico da il senso di un fatto, l’immagine rapida di un paesaggio: e questo per creare i presupposti per una emozione, quando si ammira con stupore una rappresentazione della natura.
A volte, però, la semplicità è solo apparente, perché all’interno della frase asciutta vi è un concentrato di idee pronto ad esplodere nella mente del lettore a cui non difetta la fantasia. Sebbene già a diciotto anni lasci la Basilicata per il centro Italia, il suo essere un uomo del sud affiora di tanto in tanto nelle sue poesie.
E questa è una caratteristica che accomuna tutti gli scrittori meridionali. Questi possono lasciare la loro terra, ma la stessa lascia un segno indelebile nella loro mente e nel loro carattere.
Articolo di Antonino Russo
LA VIGNA VECCHIA
Mi sono seduto per terra
accanto al pagliaio della vigna
vecchia,
I fanciulli strappano le noci
dai rami, le schiacciano tra due
pietre.
Io mi concio le mani di acido
verde,
mi godo l’aria dal fondo degli alberi.
LA CIVETTA DELLA NEVE
Vengono anch’essi a scaldarsi
accanto al camino i vecchi Dei.
Viene intirizzita a chiederci asilo
la civetta della neve.
NELLE TORRIDE ETA’
Giù nelle grotte fino a ieri
gli avi hanno sepolto le nevi.
Nelle torride età
partivano i bianchi vascelli
per le plaghe felici.
IL TEVERE
Il Tevere scivola più lento del
miele.
Maggio va adagio. La luce d’oro
trabocca dalle cime.
Biondo e morbido l’olio della luce
si riversa quaggiù.
LO SPAURACCHIO
Non può piegarsi
a carezzare le spighe brune,
a stringere in pugno i passerotti.
Può solo guardare più a lungo
il tramonto.
LA TEGOLA E’ TIEPIDA
La tegola è tiepida,
la creta è dolce.
Per questo va e viene tutti gli anni
la rondine chiostraiola.
UN PIPISTRELLO
A toccarci coi piedi nudi
fratelli e sorelle
seduti davanti alla porta
con mamma più alta
che mormora le orazioni
a occhi chiusi. La strada
stretta e il fiume di ginestre
sui muli dei fornai
le sere che un pipistrello
sbalestrato all’odore di giugno
abbandona la grotta.
FIRMAMENTO
Si scorre tutto il cielo
per trovare una stella.
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