Per parlare delle opere di Gim Balistreri, esposte al secondo piano del Museo Guttuso, bisogna tornare indietro di 10 anni circa, quando nel settembre del 2007 l’artista asprense nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo presentava la sua bellissima mostra “… e gli dei, invidiosi, guardano e
ridono”.
In questa mostra Balistreri con installazioni e pitture evocava i fantasmi di un medio evo prossimo venturo, tracciando genialmente un ponte tra le sue fantascientifiche istallazioni e l’affresco Il trionfo della morte dell’anonimo maestro del XV secolo.
Queste opere erano infatti legate dalla rappresentazione di un identico destino: l’arrivo incombente, galoppante dell’apocalisse. Al grandioso affresco il nostro artista tra il 1992 e il 1994 aveva dedicato
degli interessanti studi che sicuramente avrebbero meritato maggiore notorietà ed attenzione da parte della critica, se si pensa che essi furono realizzati nel clima allora entusiasmante di un ritorno alla tradizione pittorica, che ebbe il suo apice nell’affermazione di correnti dell’arte contemporanea, quali la transavanguardia, il citazionismo, l’anacronismo.
Gli studi di Balistreri sul trionfo della morte, a differenza tuttavia di molte opere alquanto di maniera di questo particolare periodo, sono ancora oggi apprezzati da noi per un puro, essenziale tratteggio delle linee in una scabra spazialità in cui le figure dell’affresco singolarmente citate vengono immerse, denotando così una raffinata sensibilità per il dettaglio che emerge quasi sempre da una materia
pittorica in dissoluzione. Di questa materia “scrostata”, scarnificata ci piace ancora dire che essa non solo rappresenta ma è la realizzazione pittorica della prima fase dell’opera alchemica: la putrefactio meglio conosciuta come nigredo.
Per Balistreri infatti << la storia di un’opera d’arte, non è soltanto la realizzazione oggettiva relativa all’idea, al progetto e ai processi di esecuzione, ma è anche la storia delle sue vicissitudini, poiché ogni
opera compiuta, continua a vivere e a trasformarsi, percorrendo un ineluttabile destino di morte>> (1)
C’ è dunque un legame intrinseco tra le opere del nostro artista ed il trionfo della morte dell’anonimo
maestro del XV secolo così tanto amato. Questo legame è dato dal sopravvento nelle sue opere delle
pulsioni, dell’istinto di Thanatos.
Nell’ultimo ventennio della sua vita (1993-2013) Balistreri ha messo allo scoperto questa maliosa e segreta vocazione di Thanatos, che trova così piena espressione nelle sue opere esposte al Museo Guttuso, di cui possiamo ora iniziare a parlare, incominciando dal suo Studio sul trionfo della
morte, macabra anatomia della testa scarnificata del cavallo, nell’affresco di Palazzo Abatellis cavalcato dalla Morte, che mostra denti, lingua e l’orbita dell’occhio enucleata, vuota.
In questa testa ridotta all’osso, come vista in una sorta di radiografia, un inquietante contrasto è creato però dal colore roseo del palato, della lingua e delle gengive, come fossero ancora vive, uniche tracce superstiti della carne, di un mondo organico non andati del tutto in dissoluzione. Ma ancora questa testa di cavallo è raffigurata sulla tela come emersa da un intonaco in gran parte scrostato, rovinato e con notevoli parti mancanti intessute di screpolature. Questa frammentazione e corrosione della superficie
di un affresco, che Balistreri ha voluto rendere palpabile nella sua opera, ricorrendo anche all’alterazione
dei colori, << sono segni di un processo di morte che…degrada l’“oggetto” (rappresentato), immergendolo in una sottile ed intricata trama che lo rende meno identico, imprendibile e più misterioso.>> (2)
Un altro bellissimo dipinto è Attila. In questa tela la rappresentazione figurativa cede il posto all’espressionismo astratto. L’opera evoca la forza distruttrice e selvaggia della natura e dell’uomo in preda ad un furore incontrollato. Questa forza annientatrice è resa da larghe pennellate di colore che contrastano con un fondo bianco. La tecnica utilizzata da Balistreri è vicina a quella dell’action painting e dell’arte informale.
Opere che si richiamano a una nuova concezione della pittura con l’uso di materiali extrapittorici sono Arterie, Il canto delle sirene, Fuoco. I tre lavori sono senza data come del resto tutte le opere di Balistreri
in esposizione al Museo Guttuso. In Arterie c’è una predominanza di nero e di bianco. Il nero è dovuto alla carbonizzazione di materiali riciclati e combusti.
L’opera fa parte (?) di quella produzione di lavori esposta nel 1991 nella mostra Silenzi allestita nel cantiere dell’Antica Trizzana a Porticello. In alto sulla destra del quadro è piantato un chiodo da cui pende una cordicella rossa come unico, sottile filo dell’immaginario a cui, nella desolazione, l’artista ci invita ad aggrapparci.
Il canto delle sirene è il titolo dell’opera che primariamente fu esposta nella mostra omonima tenutasi nello studio dell’artista ad Aspra nel 1998. In essa Balistreri utilizza una rete metallica, dell’intonaco e materiali riciclati su un supporto di legno. L’opera verticalmente è spaccata quasi a metà e ricucita con spago in una sorta di sutura.
La lacerazione tra le due parti del tessuto dell’opera ciò nonostante rimane aperta, come una ferita che non vuole richiudersi, ma a sedurre maggiormente l’artista è l’aspetto trasandato, frammentato, logorato dal tempo che egli dà alla superficie del suo lavoro. << È questo perennemente “nuovo” del mutamento e della trasformazione, presente nel degrado, che mi richiama a percorrere strade
antiche che mi appaiono sempre nuove. >> (3) Fuoco infine, con cui chiudiamo la nostra rassegna delle opere di Balistreri esposte al Museo Guttuso, è una tela di colore nero divisa in sedici quadrati in una sorta per l’appunto di griglia incandescente come a ricordarci che fiamme sprigionanti dall’interno,
strutturalmente ci consumano avviandoci ad un destino votato alla morte.
In questi ultimi lavori oltre ai materiali riciclati l’artista- è il caso di ricordare-ha fatto largo uso di garze come fosse un medico o un infermiere intento a fasciare, a tamponare delle piaghe infette e purulente.
Da questo impiego di garze sulla superfice di una tela scaturisce una concezione patologica dell’opera d’arte, come se essa fosse intimamente in gran parte già piagata, corrosa dalla lebbra del tempo.
Ecco allora che da queste opere “malate” scaturisce per Balistreri la vera sorgente del canto, di quel canto malioso delle sirene che ha il potere di incantarci, di trascinarci controvoglia verso il non
luogo, la morte, l’assenza,l’oblio.
Note:
1) Nel catalogo della mostra
“ … e gli dei, invidiosi, guardano e ridono”, pag.36
2) Ibid, pag.28
3) Ibid, pag.22
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