Casteldaccia: una tragedia annunciata: Vincenzo Lo Meo: “Questi eventi estremi diventeranno sempre più intensi e frequenti”

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In questi giorni ci poniamo tutti l’interrogativo se si sarebbe potuta evitare l’immane tragedia di Casteldaccia che, sabato sera 3 novembre, ha colpito nove persone, di cui tre bambini, affogati dalle acque del fiume Milicia che hanno aggredito una villetta edificata nel suo greto.
Subito dopo aver appreso la notizia con tutti i particolari si è puntato il dito su due potenziali responsabili: il proprietario della villetta e il sindaco di Casteldaccia.
Due personaggi da dare in pasto all’opinione pubblica e da crocifiggere prima ancora di assumere atti e contestazioni.
Quello che ancora manca per la terza croce, quella centrale, probabilmente è il vero responsabile della tragedia, cioè chi era preposto (ammesso che ce ne sia qualcuno) alla manutenzione e al controllo del torrente.
Oggi è il momento del dolore e del ricordo ma da domani occorrerà capire perché il territorio, e non soltanto i fiumi, vivono da anni in uno stato di abbandono totale e soltanto dopo ogni tragedia la tematica viene riproposta all’attenzione pubblica, quell’attenzione che dopo qualche settimana scompare inesorabilmente.
In merito alla questione abbiamo formulato alcune domande al Dirigente provinciale della Forestale, Vincenzo Lo Meo, che ringraziamo per la disponibilità.

Dott. Lo Meo, secondo lei quale è stata la causa scatenante che ha innescato la “bomba d’acqua” piombata sull’abitazione di Casteldaccia?
E’ da premettere che la piovosità media annua dell’area in argomento si attesta intorno a poco più di 750 millimetri. La pioggia della sera di sabato 3 novembre segue alle abbondanti precipitazioni verificatisi nei giorni immediatamente precedenti. In quel bacino, che è ampio ben 127 kmq, nel giro di appena quattro giorni sono caduti oltre 200 millimetri di pioggia, più di un quarto della piovosità dell’intero anno.
L’evento di sabato trova i terreni già saturi per la pioggia caduta nei tre giorni precedenti e l’acqua di pioggia non infiltrandosi, ruscella superficialmente raggiungendo in tempi brevi la foce del fiume, in prossimità della quale si trova la casa. Quest’ultima è posizionata in prossimità di un’ansa del fiume in un luogo confinato tra due costoni rocciosi, dove l’alveo è particolarmente ridotto e non vi è una piana alluvionale idonea ad accogliere l’onda di piena e dissipare l’energia della massa di acqua in arrivo.
Invece di parlare di bomba d’acqua è più appropriato parlare di un evento eccezionale che ha coinvolto altri bacini idrografici ancora più estesi di quello del Fiume Milicia con conseguenze altrettanto drammatiche. (Bacino del fiume Eleuterio, San Leonardo, Belice), e con quantità di pioggia equivalenti se non maggiori rispetto a quelle cadute sul bacino del Milicia.
Si è trattato pertanto di un evento eccezionale, come peraltro documentato nello studio del PAI (Piano Assetto Idrogeologico) di tale bacino, in cui nella sezione considerata si prevedevano tempi di ritorno per le ondate di piena di ben 50 anni.

Quali le colpe, ammesso che ne abbia, del sindaco di Casteldaccia?
Non colpevolizziamo i Sindaci e non cerchiamo facili soluzioni trovando ad ogni costo un colpevole: dalle nostre parti l’abusivismo è stato un problema culturale, radicato e diffuso, tollerato dalla classe dirigente. Non è facile poi monitorare puntualmente le centinaia di pratiche di sanatoria in carico agli uffici tecnici, come sembrerebbe dimostrare il tragico caso in questione, (per il Comune la vicenda non era da considerare conclusa ma risultava pendente il ricorso al TAR) ed è ancor meno facile per un Sindaco provvedere alle demolizioni, sia per problemi legati al consenso e sia per la indisponibilità delle risorse economiche occorrenti ad affrontare i costi delle demolizioni coatte. Negli ultimi tempi si è sviluppata invece una corrente di pensiero, che condivido, che vorrebbe trasferire la competenza delle demolizioni ai Prefetti, che hanno le mani libere e meglio dei sindaci potrebbero gestire queste spiacevoli incombenze. Non è serio né corretto chiedere alle amministrazioni comunali ciò che queste non sono in grado di fare.

Un tempo il letto dei fiumi veniva utilizzato per prelevare ghiaia e i proprietari degli agrumeti a ridosso delle coltivazioni provvedevano ad evitare che ostacoli si creassero sul deflusso delle acque. Oggi questo stato di abbandono quanto può aver influito sulla tragedia di Casteldaccia?
L’abbandono generalizzato delle campagne ha fatto venir meno la preziosa azione di presidio territoriale svolta da chi coltivava il fondo e aveva cura di apprestare le ordinarie cure di manutenzione per mantenere efficiente la rete idrografica e assicurare il pronto deflusso delle acque, a difesa della proprietà. Coltivare significava mantenere efficienti le sistemazioni idraulico agrarie, quali i terrazzamenti e ciglionamenti, che favoriscono l’infiltrazione delle acque nel suolo ed evitano il ruscellamento superficiale e l’erosione del suolo.
Le immondizie di ogni genere buttate lungo l’alveo, l’incuria e l’abbandono generalizzati, possono acuire gli effetti dannosi delle piene improvvise, ma risultano pressoché ininfluenti in presenza di improvvise massa d’acqua in arrivo dovute a fenomeni eccezionali. Il problema vero è l’avere ridotto i fiumi a stretti canali e abolito le piane alluvionali, soprattutto in vicinanza di centri abitati. L’acqua prima o poi si riprende, d’imperio, gli spazi che gli sono stati tolti.

Quali le competenze di regione, ex provincie e comuni in materia di manutenzione e controllo dei fiumi in Sicilia?
Il demanio fluviale è di competenza dello Stato e, in Sicilia, della Regione Siciliana. La sua gestione, dal 2013, è in capo all’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, in precedenza era invece in capo all’Assessorato Infrastrutture (Lavori Pubblici). Analogamente, i torrenti naturali appartengono al demanio idrico regionale. I canali di bonifica sono gestiti ed appartengono invece ai consorzi irrigui. I canali di scolo delle acque bianche appartengono ai comuni. L’Assessorato Regionale all’Energia gestisce invece le risorse idriche (approvvigionamento idrico civile, depuratori, dighe etc.). I Geni Civili svolgono attività autorizzativa e di concessione delle acque pubbliche. La competenza a rimuovere i rifiuti abbandonati nei corsi d’acqua e nel demanio idrico fluviale ricade in capo al Sindaco del comune dove ricadono i corsi d’acqua di qualsiasi natura essi siano. Altresì i sindaci hanno la competenza, alquanto pesante e coinvolgente, degli interventi di protezione civile su tutto il loro territorio, ivi comprese le aree di pertinenza di ogni tipologia di corso d’acqua.

L’abusivismo può essere considerato l’unico responsabile di una tragedia che probabilmente poteva essere evitata?
Nel caso della tragedia di Casteldaccia l’abusivismo è stata la circostanza che l’ha determinata. La casa si trova in area di inondazione a pericolosità elevata nel citato studio del PAI (pericolosità di livello 3 su scala sino a 4).
Dobbiamo tutti imparare, ammettendolo col senno del poi, a dare la giusta importanza agli stati di allerta diramati dalla protezione civile e adottare comportamenti conseguenti. Sembra una considerazione banale ma non possiamo fare sempre tutto e con ogni tempo. Dovremmo tutti imparare a convivere con questi eventi estremi che diventeranno sempre più intensi e frequenti a causa dell’aumento della temperatura e alla conseguente velocizzazione del ciclo dell’acqua.

Trattandosi di “calamità naturale” si possono richiedere risarcimenti per i danni?
Per le costruzioni abusive e non condonate nessun risarcimento spetta, ovviamente, al proprietario.
Per i danni subiti dalle costruzioni in regola, e per le proprietà private in genere, in caso di eventi calamitosi (incendi, alluvioni, frane etc.) sono previsti risarcimenti a favore dei privati previa dichiarazione o dello stato di emergenza oppure dello stato di calamità naturale. Lo stato di emergenza, che può avere una durata di 180 giorni prorogabili per altrettanti una sola volta, viene deliberato, su proposta del Capo del Dipartimento della Protezione civile, dal Consiglio dei Ministri e prevede il potere di ordinanza posto in capo proprio al Capo del Dipartimento. La delibera del Consiglio dei Ministri individua le risorse finanziarie destinate ai primi interventi di emergenza: assistenza alla popolazione, ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, interventi per ridurre il rischio residuo, ovviamente nel limite delle risorse messe a disposizione. È poi il Commissario nominato dal Capo del Dipartimento a dover provvedere alla ricognizione dei danni, pubblici e privati, ricognizione che viene poi portata all’attenzione del Consiglio dei Ministri che valuta quante risorse stanziare proprio per il ristoro di tali danni. Lo stato di calamità, invece, è uno strumento legato esclusivamente al settore agricolo: il suo riconoscimento, infatti, avviene per mezzo di un decreto del Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, su proposta della Regione coinvolta. Esso è il presupposto per garantire risorse o agevolazioni varie, di provenienza statale, solo a favore dell’agricoltura dei territori colpiti da eventi calamitosi.

Michele Manna


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