La Guerra Civile Spagnola (da noi nota anche come Guerra di Spagna) fu una guerra combattuta tra il luglio 1936 e l’aprile 1939: vide lo scontro fra i Nazionalisti (noti come nacionales, autori di un colpo di Stato promosso da
Emilio Mola e altri militari -José Sanjurjo, Luis Orgaz, Joaquín Fanjul, e vi figurava lo stesso Francisco Franco che poi sarebbe diventato capo militare e dittatore- ai danni della Repubblica) e i Repubblicani (detti republicanos,
composti da truppe fedeli al governo eletto legittimamente, guidato dal Fronte Popolare di ispirazione marxista).
A questa sanguinosa guerra parteciparono anche miglia di soldati italiani, rappresentavano la proiezione dell’Asse Roma-Berlino, alleanza fra Nazisti di Hitler e Fascisti di Mussolini contro il governo spagnolo presieduto da Manuel Azaña, laico, liberale, antimilitarista, coltissimo: a Destra dicevano che fosse una “marica”, cioè un finocchio; figuratevi cosa
potessero pensare di Azaña i militari golpisti! Fu una guerra fraticida.
Mussolini appoggiò i falangisti con l’invio di circa 70.000 uomini. Fra questi c’erano anche alcuni bagheresi, uno si chiamava Giuseppe Cirafici.
Ce lo ricorda la nipote Mariella: ella ci dipinge il nonno con un breve racconto toccante di circa venti pagine intitolato “Mio nonno in Spagna” (AperturaAStrappo, 2017).
La narrazione avviene in prima persona sia quando parla Mariella
sia quando la scrivente riporta (avendo avuto la percezione di sentirlo) alcune descrizione belliche a cui partecipò il nonno.
Si legge: “Due volte partii per la guerra di Spagna per unirmi al
Corpo Truppe Volontarie. La prima fui ferito gravemente e rimpatriato, ma appena riacquistai le forze, qualcosa mi spinse a tornare a combattere, il richiamo della Patria che per noi allora era tutto; il suo rispetto ci era stato inculcato, e noi ci credevamo, pure con amore”.
Il racconto è canto di affetti, un rievocare di vicende familiari: chi non ne ha? Questo canto nostalgico viene spezzato il 13 luglio del 1938, quando viene comunicato ai Cirafici che il ventisettenne Giuseppe non sarebbe più ritornato. Tutti i fascismi sono imbevuti di vicende necrofile. Anche i fascismi che si amano di più: quelli rossi.
Perché è utile leggere questo breve racconto? Vi fa comprendere come la mancanza delle persone care nel tempo bruci; e, me lo auguro!, vi spinga ad approfondire cosa successe in quegli anni in Spagna, quando i fascisti spagnoli fucilarono il grande poeta Federico Garcia Lorca, quando molti preti non allineati alle idee anarchiche e socialiste vennero annientate dalle forze di sinistra.
Si contarono un milione di morti. Cirafici ne è simbolo con richiami locali. L’altro simbolo storico di questa sanguinosa guerra è l’Alcazar di Toledo col colonnello franchista Moscardò.
Lo storico che voglia parlare della Guerra di Spagna deve passare per Toledo. Un Alcazar rosso poteva cambiare alcuni aspetti della storia. Va detto: all’Alcazar una vittoria ci fu. Vinse l’anticomunismo. Cioè i fascisti. Ci vorranno anni perché ritornino a contare i valori democratici. La Spagna si liberò di Franco negli anni Settanta.
Avremmo voluto che Giuseppe Cirafici continuasse a giocare col ruolo di portiere. Ma la guerra, civile o no, semina vittime. Duole. Mariella Cirafici ha fatto bene a ricordare suo nonno col suo intimistico racconto.
E siamo lieti di ribadire che il Sovranismo in sé non è male, purché sia legato ai valori democratici della Costituzione.
Guai se il popolo perde questa sovranità costituzionale: si ritroverà innanzi altri fascismi di colore diversi.
Giuseppe Di Salvo
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