Il Pulcinella senza Maschera del Cinema Italiano
“Pare che un napoletano nun po’ viaggià, po’ solo emigrà”, con questa battuta assieme a tante altre, rimaste indimenticabili, presenti in “Ricomincio da tre”, film d’esordio sia come attore, sia come regista, Massimo Troisi debutta nel grande schermo, ottenendo incassi da record e vincendo due David Di Donatello, quattro Nastri d’Argento e due Globi d’Oro. “Ricomincio da tre”, uscito nelle sale nel 1981, viene accolto con entusiasmo dal pubblico ed ottenendo il riscontro favorevole della critica, segna un duro colpo ai soliti luoghi comuni incentrati sulla questione meridionale, riuscendo anche a smontare con un’ironia semplice e genuina l’ipocrisia di una società troppo ancorata ai soliti clichè.
Sono passati 26 anni, dalla scomparsa di Massimo Troisi, un Grande Artista che nel corso di una carriera strepitosa ha saputo regalarci momenti di felicità, lasciandoci in eredità gag fulminanti, ma anche il ricordo di personaggi dalla grande e profonda umanità, colmando così, almeno in parte, il senso di vuoto, successivo alla sua uscita di scena, dal palcoscenico della vita vera.
Massimo, nato il 19 febbraio del 1953 a San Giorgio a Cremano, distante pochi Km da Napoli, era l’ultimogenito di una famiglia numerosa ed umile, il padre Alfredo faceva il ferroviere e la madre, Elena, la casalinga. Affetto sin dall’infanzia da febbre reumatica, Massimo sviluppò con il passare degli anni, una grave degenerazione della valvola mitrale, complicata dallo scompenso cardiaco che lo costrinse nel 1976 a sottoporsi ad un intervento chirurgico negli U.S.A. (alle spese del viaggio contribuì una colletta organizzata, tra gli altri, dal quotidiano di Napoli Il Mattino) ma nonostante tutto questo, si dedicò con grande passione ed umiltà alla recitazione.
La carriera di Massimo, iniziata negli anni ‘70 del secolo scorso, partì dal cabaret, con il trio: La Smorfia, assieme a Lello Arena ed Enzo Decaro. Dopo buone affermazioni teatrali, il trio conobbe il suo massimo periodo di notorietà quando fu protagonista della trasmissione televisiva Non stop e della successiva La sberla. Uno sketch indimenticabile del trio La Smorfia è Natività, che vede Massimo nelle vesti della moglie di un pescatore, ricevere la visita dell’arcangelo Gabriele e del cherubino, che la scambiano per la Madonna, nell’attesa della nascita di Gesù. Massimo cerca di farli ragionare, ma alla fine saranno loro stessi a scoprire il grave errore commesso.
Il successo vero di Massimo, con il quale si fa conoscere ed apprezzare dal pubblico arriva, come già stato anticipato dal film Ricomincio da tre, storia di un giovane napoletano alla scoperta del suo posto del mondo, fra speranze, delusioni e voglia di rivincita. Dopo l’interpretazione di se stesso nel film No grazie, il caffè mi rende nervoso, del 1982, assieme all’inseparabile amico e collega Lello Arena, arriva nelle sale nel 1983 il suo secondo film da regista: Scusate il ritardo, il cui titolo è un riferimento sia al tempo trascorso dal primo film diretto, sia ai diversi tempi dell’amore e alla mancanza di sincronia dei rapporti di coppia. Il film, che nel cast poteva vantare la presenza di una bravissima Giuliana De Sio, riesce a ottenere numerosi premi tra cui il David di Donatello per il miglior attore non protagonista a Lello Arena e anche per la migliore attrice non protagonista a Lina Polito, mentre Massimo si aggiudica la Maschera d’Argento, il Premio UBU, il Biglietto d’oro per l’incasso della stagione 1982-1983 e il Premio De Sica.
Dal fortunato incontro con Roberto Benigni nasce un’opera cinematografica destinata a diventare un vero e proprio culto: “Non ci resta che piangere”. La pellicola racconta la storia di due amici: Mario e Saverio, che, per uno strano scherzo del destino, si trovano catapultati indietro nel tempo nell’anno 1492. La formula un po insolita caratterizzata dall’unione della comicità irruente da Toscanaccio di Benigni e dalla genuinità partenopea di Troisi, è un formidabile generatore di una serie interminabile di battute che rimarranno impresse nella memoria del cinema italiano. Da quel “Ricordati che devi morire” pronunciato dal monaco all’immediata risposta secca di Massimo-Mario: “Mo me lo segno” a quel “Ma nove per nove farà 81?”, per fare colpo sul grande genio di Leonardo Da Vinci, fino all’irresistibile “Chi siete? Quanti siete? Cosa portate? Un fiorino!”, dell’impassibile doganiere, Non ci resta che piangere si riconferma puntualmente come un film piacevole da riguardare, con un pizzico di nostalgia, ma che fortunatamente svanisce subito, grazie all’immensa bravura dei due comici.
Dopo l’interpretazione di un piccolo ruolo nel film Hotel Colonial, girato in Colombia, Massimo torna nel grande schermo nel 1987 con “Le vie del Signore sono finite”, da lui scritto, diretto e interpretato, vincitore di un Nastro d’argento per la miglior sceneggiatura, scritta assieme ad Anna Pavignano, che lavorò per molto tempo con l’indimenticabile attore. Nel periodo a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, Massimo collabora come attore a tre film diretti da Ettore Scola: “Splendor”, “Che ora è?”, entrambi con Marcello Mastroianni e “Il viaggio di Capitan Fracassa”.
Nel 1991 Massimo realizza quello che passerà alla storia come il suo ultimo film da regista: “Pensavo fosse amore… invece era un calesse”, con Francesca Neri. Il concetto principale di questo film, su cui è incentrata tutta la vicenda, è l’amore, l’amore che può finire, che non ha e, forse, non ha mai avuto storia. Le tecniche del film sono nettamente migliorate dalla produzione precedente, al punto da poterlo considerare tra i lavori più maturi di Massimo. “Perché calesse?… per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto, una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggetto materiale all’amore spirituale che non c’è più” – Così Massimo commentò il suo film – “Mi piaceva e poi si possono trovare tante cose con il calesse: si va piano, si va in uno, si va in due, ci sta pure il cavallo…Quando non è più amore ma «calesse», bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male…ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell’inizio. Le storie d’amore non mancano mai nei film, quindi farne un’altra mi sembrava una cosa né stupida, né eccezionale ma raccontata in questi termini mi incuriosiva.” – concluse l’attore e regista. La colonna sonora del film venne scritta dal Grande ed indimenticabile Artista Pino Daniele, che strinse con Massimo un forte sodalizio artistico nei primi anni della sua fortunata carriera, avendo già firmato le musiche di “Ricomincio da tre” e “Le vie del Signore sono finite”. Per l’occasione, il cantautore compose il brano “Quando”, presto diventato un grande classico della musica napoletana.
L’ultima interpretazione di Massimo è quella de “Il Postino”, con Maria Grazia Cucinotta e Philippe Noiret nel ruolo del poeta Pablo Neruda, diretto dal britannico Michael Radford. Le riprese, inizialmente previste per il mese di settembre del 1993, furono rimandate per un improvviso problema di salute che colpì Massimo; da tempo sofferente di cuore, il comico napoletano fu obbligato dai medici statunitensi a effettuare un ulteriore intervento cardiologico in quanto la valvola artificiale impiantatagli nel 1976, si era ormai completamente deteriorata, danneggiando anche la valvola aortica. Gli esiti infausti dell’intervento di sostituzione della stessa gli procurarono un infarto, costringendolo quindi a far rinviare le riprese e ad una lunga convalescenza durante la quale gli venne fatta presente la necessità del trapianto. Nonostante la gravità del suo stato di salute, Massimo decise di rimandare l’operazione a data da destinarsi, preferendo prolungare la convalescenza il più a lungo possibile per potere riprendere le riprese e svolgere il trapianto successivamente. Partite definitivamente nel marzo 1994, le riprese durarono 12 settimane con una sola interruzione a Pasqua. L’ultimo ciak battuto da Troisi si svolse il 3 giugno a Cinecittà. Il giorno successivo il comico napoletano venne stroncato da un infarto nell’abitazione di sua sorella Annamaria a Ostia. Le riprese effettive vennero poi concluse alcuni giorni dopo, il 7 giugno. Il film ha ottenuto 5 candidature agli Oscar del 1996, tra cui quella come Miglior attore protagonista, ma aggiudicandosi solo la statuetta per la Miglior colonna sonora drammatica.
Massimo Troisi usava una tecnica recitativa che si presentava con uno stile originale, mai portato in scena da nessun altro comico prima di allora. Nel teatro era una sorta di Pulcinella moderno non solo perché accentuava nella figura l’idea del polliciniello (pulcino) che si mette di lato rispetto alla società e alla cultura, ma anche perché i suoi ruoli sembravano aver assimilato le trasformazioni a cui è andata incontro la maschera nel corso dei secoli. Significative sono le parole del cantautore e cabarettistaFederico Salvatore sul paragone tra l’attore partenopeo e la celebre maschera napoletana: “Massimo è Pulcinella senza maschera. A parte che Pulcinella è stato, nel pieno del suo vigore, della sua vita centrale, censurato, e ha operato lo stesso senza maschera. Per me Troisi rappresenta il Pulcinella che porta. Poiché Pulcinella è stato internazionale, Pulcinella è stato francese, Pulcinella è stato inglese, Pulcinella ha superato il Volturno. Massimo ha fatto la stessa cosa, l’unico napoletano con la napoletanità che ha superato il Volturno, quindi per me rappresenta un’ultima possibilità che abbiamo avuto, da un punto di vista teatrale e cinematografico, di superare, di uscire dallo stereotipo della napoletanità, fine a sé stessa”.
Quel tipo di comicità così semplice, che nasceva in modo spontaneo e che poteva trasformarsi in uno strumento di riflessione o crescita culturale, non c’è più e l’unico modo per poterla riscoprire e valorizzare è rivedere tutti i capolavori firmati da Massimo, specialmente l’ultima grande opera, considerata il suo testamento artistico: Il Postino, dove la poesia diventa un’arma sociale di resistenza e autodeterminazione contro ogni forma di sopruso o di violenza, un tema tristemente attuale, sul quale è doveroso fare una seria riflessione.
Nicola Scardina
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