A cavallo fra gli anni sessanta e settanta, all’inizio del boom economico, esplose anche il turismo di massa. Lungo le coste sorsero alberghi e
villaggi vacanza e per i playboy nostrani si aprì un inedito orizzonte di
caccia alle turiste straniere.
Queste, a sua volta, accettavano ben volentieri la corte dei focosi personaggi esotici. Chi possedeva anche una piccola auto o una moto e qualche bigliettone in tasca, poteva vantare l’incremento della collezione di avventure. Un personaggio emblematico era Filippo, che quasi tutte le sere si presentava al villaggio ben rasato e profumato, indossando camice dai
colori sgargianti, sbottonate fino a quasi l’ombelico.
Al collo una catenina d’oro con un ciondolo che raffigurava un rinoceronte dal corno sproporzionato, evidente simbolo fallico. Una sera notò un folto gruppo di francesi arrivati freschi-freschi e non ancora tostati dal nostro sole. Da buon cirneco siciliano, Filippo sapeva che le quaglie vanno
prese quando sono ancora mansuete, perché, dopo pochi giorni,
si fanno furbe e si impreziosiscono.
Filippo adocchiò subito una fra queste francesi che ricambiava i suoi famelici sguardi. Forte del suo maccheronico francese, utilizzando qualche frase ad effetto, si intrufolò facilmente nel gruppo che, incuriosito dalla stranezza del personaggio, lo accolse ponendogli numerose domande su quali fossero i costumi in Sicilia riguardo le donne.
Vigeva un’aria festosa anche perché durante la cena tutti avevano
avuto modo di onorare il nostro vino che, quando fresco, scende
giù liscio-liscio, mascherando il tenore alcolico. Uno del gruppo, piuttosto brillo e dall’aria di uomo di mondo, gli domandò: “Lei da quale città viene?” – “Da Bagheria, la città delle ville barocche” rispose Filippo con orgoglio.
“Anzi, se vi interessa visitare la famosa villa dei mostri, vi accompagnerei volentieri”. Il tizio stette un po’ a pensare e poi esordì: “Mi piacerebbe tanto visitarla, ma alcuni mesi fa ho letto sul giornale che in quella zona ci sono tanti mafiosi”.
Filippo si vide perduto, ma non si perse d’animo: “Non vi preoccupate, se vi accompagno io, sarete al sicuro”. Il giorno dopo, all’ora pattuita, si presentò al villaggio. I francesi avevano noleggiato un pulmino con destinazione Bagheria. Dopo aver visitato villa Palagonia, Filippo non sapeva in
quale altro luogo accompagnarli poiché all’epoca quella era l’unica
villa aperta al pubblico.
Così decise di condurli ad una gelateria allora molto in voga. Mentre erano intenti a gustare il gelato, il solito rompiscatole a bruciapelo chiese: “Perché non ci fai conoscere un mafioso’”? Filippo a stento si trattene dal rispondergli come avrebbe meritato, anche perché si era persuaso che
nessuno fra il gruppo avesse chiaro l’argomento. Credevano che i mafiosi fossero come orologi da taschino, che si possono tirare fuori quando ti pare e piace. Ma a quel punto una goliardica idea si impossessò di Filippo: proprio di fronte la gelateria, seduto davanti l’uscio, un anziano di sua conoscenza si stava godendo il fresco sonnecchiando col berretto abbassato sulla fronte.
Così si avvicino e, dopo averlo salutato, gli chiese: “Zio Pasquale, la disturbo?” – “Ma quando mai! Di che si tratta?” – “Accompagno un gruppo di francesi, tipi strani. Ha niente in contrario se gli scattano qualche foto?” – “Con piacere, dato che sono amici tuoi…!” Filippo, rivolgendosi al gruppo:
“Questo signore è stato un capo mafia, ma per l’avanzata età si è defilato.
Ma gode ancora di grande prestigio e potere”.
Si avvicinarono e, dopo averlo salutato, iniziarono a scattare foto.
Il più baldanzoso si mise in posa accanto lo zio Pasquale. Rientrati al villaggio, soddisfatti e festanti, ringraziarono Filippo per avergli regalato una escursione così ricca di emozioni.
La sera seguente il nostro playboy fu fermato all’ingresso dall’addetto alla ricezione con l’invito di presentarsi al direttore. Filippo si stupì dell’inconsueta richiesta perché aveva sempre mantenuto con lui buoni rapporti. Il direttore lo accolse con molta freddezza ed appariva chiaro che
qualcosa di brutto friggeva in padella. Dopo averlo invitato a sedersi esordì: ”Signor Filippo, lei lo sa che mi ha creato un grosso problema? Al massimo entro domani, lei mi deve sbrogliare questa matassa”!
Filippo, come caduto dall’albero, domandò: “Cosa ho fatto di
male”? – “Lei ieri ha accompagnato un gruppo di francesi a Bagheria. Mi può spiegare che cosa è questa storia del mafioso? I francesi venuti con lei ne hanno parlato con il resto del gruppo, che non ha preso parte all’escursione. Questi sono venuti a reclamare, perché dicono che sono stati esclusi da una così interessante escursione”.
Quando Filippo spiegò come erano andate le cose, il direttore se la rise a crepapelle: “Si, ho capito. Ma ora vai a spiegare che si è trattato di uno scherzo, anche se in parte da loro stessi sollecitato. Comunque, ormai dobbiamo cavalcare l’onda! Accompagni anche il gruppo che ne ha fatto richiesta e, mi raccomando, lasciamoli contenti.”
Come concordato, la mattina successiva Filippo trovò ad attenderlo un pullman pieno di turisti. Durante il viaggio spiego quello che li attendeva, decantando le bellezze della città e del territorio ancora non stravolto dalla cementificazione selvaggia.
Dopo la visita alla villa dei mostri seguita dal solito gelato, li presentò allo zio Pasquale, che al solito trascorreva il tempo seduto davanti casa.
Quando Filippo gli fece nuovamente la richiesta, lo zio Pasquale,
questa volta incuriosito dalla presenza di così tanta gente che lo
scrutava con eccessiva curiosità, gli chiese: “Scusami, Filippo;
ma come mai questi turisti ci tengono così tanto a fotografarmi?
Cosa ci trovano di speciale? -”Zio Pasquale, gli ho detto che lei
è un grande cacciatore e anche loro sono appassionati di caccia”: Il vecchio, illuminatosi in volto, esclamò entusiasta: “Ma allora mi devono fotografare con il fucile!” Disse di attenderlo qualche momento.
Entrò in casa e ne uscì poco dopo con un vecchio fucile in mano
e, indossando il cinturone con le cartucce, assunse un’aria imponente.
I francesi, eccitati dal fuori programma, si sbizzarrivano ad inquadrarlo da diverse angolature. Per fortuna a nessuno venne l’idea di chiedere l’autografo: lo zio Pasquale non era capace di scrivere neppure la sua firma.
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