La giulietta di Ciaculli …tra Guttuso e Buttitta

…fatti che mi fanno odiare questo popolo barbaro che non vuole progredire..

La notte era calda, Totò e Piero avevano finito di camiare il forno e si stavano fumando una sigaretta alla punta della cantoniera della Via Sammartino. Non passava anima viva, le cicale cantavano e all’improvviso ci fu un grande botto, ma tanto forte da svegliare tutti. –“…chi fu?…Totò che cosa fu?…”-.

Le luci s’accesero, le finestre s’aprirono.-“…u bottu arrivò dalle parti ri Villabate…!”. In tanti s’affacciarono ai balconi, erano assunnati e non capivano nulla. Il tempo di fare giorno e la gente si svegliò, chi andava a lavorare, chi andava a mare, il paese s’animava, un paese ancora che si
liccava la sarda, ancora povertà e ignoranza allignavano.

Si viveva con poco, in tanti prendevano il treno e con la valigia di cartone attaccato con lo spago cercavano fortuna in Germania o nell’Alta Italia.
Era una condizione umana che amareggiava ma in paese in tanti si davano da fare per cambiare le cose. Attorno alle 15.00, quando le tavole di cavatonelli con la salsa, di pasta con i tinnirumi si scunzavano, quando cominciava u pinnicuneddu, un bottò spardò l’aria. Ma stavolta fu un botto ancora più forte di quello della notte scorsa.

La gente uscì tutta per strada, in canottiera, chi in mutande, con i picciriddi in braccia, tutti a chiedersi:-“…ma chi cosa fu!!!!…”. Ancora una volta tutti
taliavano verso la montagna ri Villabate, il botto era proveniente
da lì. In mattinana era corsa voce che in nottata era scoppiata una Giulietta davanti a un garage e che era morto una persona, un nostro paesano, mischinu, c’erano stati pure dei feriti e Villabate era tutta suttasupra, polizia e carabinieri a tignitè.

E ora questo altro botto cosa è stato? La gente restò in attesa di avere altre notizie e riprese la propria vita come sempre rassegnata, indifferente.
In piazza si commentava a bassa voce, come se fossero scantati, Gino al chiosco, all’angolo di via Roma, tagliava polipi di scoglio, a Ciccio l’asparotu sulla balata di marmo ci era rimasta un poco di tunnina, San Giovanni era passato da una settimana e u ciavuru era tutt’altro che invitante.

I muluna russi erano stinnicchiati sul marciapiedi, Natale, capelli lunghi tra il bianco e il grigio, baffetti fini, sembravab Porthos, uno dei tre moschettieri, stava davanti alla putia, i suoi figli piazzavano le casse fuori e buttavano acqua sulle melenzane e sui fichidindia, ogni tanto scattiava e abbanniava:-“…chi cosi belli chi avi Natali, nni mia li putiti accattari…”.

Le vociate arabeggianti arieggiavano sul Corso abbagliato dal sole. Gli faceva eco dall’altra parte dello stradone Mimillo, l’esile, piccolo e fragile Mimillo che abbanniava come in un lamento:-“…chi salsa ruci ri pomaruaru…cirasi nivuri e grosse…”.

Alle 20 e 30 la sezione del Movimento Sociale era aperta, Gino u russu aspettava le notizie del Telegiornale. La stanza era piena come quando la sera c’era Mario Riva e il Musichiere o il Festival di Sanremo. L’intervallo con le pecore passò e il silenzio calò tra coppole e camicie sudate quando
spuntò il viso triste del presentatore che annunciava:-“…Strage oggi pomeriggio a Ciaculli, borgata di Palermo. Tra le campagne dei manderini è scoppiata una Giulietta. Notizie ancora incerte sul movente. Di certo abbiamo i nomi delle vittime: il tenente Mario Malausa, il maresciallo della PS Silvio Corrao, il maresciallo dei carabinieri Calogero Vaccaro, il carabiniere Marino Fardelli, il carabiniere Eugenio Altomare, il maresciallo artificiere Pasquale Nuccio, il soldato aiuto artificiere Giorgio Ciacci.

Nell’esplosione sono rimasti feriti altri due carabinieri. Delle vittime è rimasto ben poco, dilaniati dallo scoppio della macchina”. Silenzio, nessun commento, solo sgomento e un silenzioso composto moto di rabbia misto a paura che si leggeva nei volti bruciati dal sole di quella gente che conosceva quei luoghi, chi ci aveva raccolto i manderini, chi aveva potato gli alberi, chi aveva fatto gli innesti per i tardivi. Increduli e addolorati, a passo lento tornarono a casa, quella notte dormirono in pochi, quella notte fu una notte
triste per Palermo. La mattina dopo spuntò una bella giornata. Mimì u vaccaru con la sua bella mucca modicana pezzata girava per il paese, mungeva il latte davanti le porte, a domicilio direttamente nelle bottiglie o nei tazzoni.

Rideva Mimì, era allegro, scherzava con tutti, la gente con lui si scialava. Ogni tanto la mucca Carolina decorava lo stradone con delle “torte profumate” e davanti a una di queste “torte” si fermò una Fiat topolino nera, ne scesero tre persone, erano ben vestiti, portavano occhiali neri.
Uno, quello col baschiteddu tipo arabo in testa, sembrava una faccia conoscente, cominciò a cuntari poesie in dialetto:-“…lu pani si chiama pani, cu mmia nun fannu pani, voi dari cuntintizza, ch’è beddu stari in paci…”.

L’altro che fumava come un turco esclamò:-“…’Gnaziu…talìa chi belli culura chi ci sunnu na stu stratuni…chi belli facciati chi hannu sti casi… hannu i culura chi piaciunu ammia…”. Il terzo, il più anziano, con una parlantina tutta continentali, quasi infastidito disse:-“…guardate io non ci capisco nulla, siamo fermi a guardare una cacata di vacca, ma siamo qui per un fatto gravissimo e voi pensate all’arte…andiamo Renato, andiamo a Bagheria!…!. Picciotti che colpo!!!Sapete chi erano quei tre fermi con
la topolino vicino alla fontanella del Monaco? mentre noi picciridddi correvamo a piedi scalzi, giocavamo ad accustari, al fosso, o al sciusciuni con le figurine o con le lannuzze? Erano il poeta dialettale Ignazio Buttitta, il pittore Renato Guttuso e il giornalista scrittore Tommaso Besozzi, quello del famoso caso Giuliano.

Il carretto tirato da uno scecco, i fimmini davanti le persiane ciuciuniavanu:-“…Teresa domani me marito porta u pumaruaru, 4
casci e facemu i buttigghi e anticchia ra astrattu…”. Nel salone da barba di Fifiddu Comparetto, tra profumi e tagli di capelli Andrea si taliava ammucciuni il calendarietto chi fimmini mezzi nude, era imbarazzato.

Alla pompa di benzina il signor Martorana metteva 200 lire di nafta in una lambretta; al muro un tignusu immobile puntava una mosca. Nella privativa di don Pietro Mezzatesta quella mattina il Giornale di Sicilia andò a ruba, titolava in prima pagina:-“…Sette carabinieri e agenti dilaniati da una tremenda esplosione di tritolo nei pressi di Gibilrossa a Palermo…”.
Besozzi leggeva ed era come assantumatu, era sceso per un servizio di Mafia e si ritrovava a commentare una strage, che per lui senza tanti tentennamenti era di Mafia!!!

Renato Guttuso diceva:-“…io sugnu baharioto, amo la mia terra,
la pittura è un grande atto d’amore, ma questi fatti mi fanno odiare
questo popolo barbaro che non vuole progredire…”. Anche Ignazio Buttitta tistiannu denunciò:-“…è la paci la mia amica, o chi Dio la benedica, quant’è saggia, quant’è bedda, cu idda accantu un sentu guai. Mimì tirando la vacca pezzata ci passò davanti e li taliava dubbioso.

Picciriddi chi tiravanu un cani siccu e siddiatu, passavano poche
macchine, qualche autobus mezzu vacanti, terrazzi e lastrachi assolati con biancheria stesa, persiane aperte a pigliare aria, tendine ricamate svolazzanti, portelli abbutati, finestre spalancate. Occhi lucidi, sguardi abbassati, i tre personaggi risalgono sulla topolino, ripartono con direzione Bagheria, Mimì porta la mucca pezzata allo stallone, una voce roca abbannìa in lontananza, s’avvicina, è Cicco “Oss Oss”, sventola L’Ora, edizione straordinaria, “…

L’Ora…i morti ri Ciaculli…L’Ora…”. Passa il carretto della munnizza, un giovane Nidduzzu, in stivali e manica di camicia pulisce lo stradone , un foglio di giornale con una scritta grande “BASTA!” finisce tra scocci di muluna e babbaluci, un leggero vento porta dal mare delle nuvole sopra la montagna di Villabate, forse un poco di pioggia ci vorrebbe su quegli
alberi di manderini per pulire quelle foglie macchiate di sangue
innocente.

Era l’estate del 1963…

Giuseppe Morreale



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