Sarebbe incompleta la nostra cronaca se non dessimo spazio alle discussioni polemiche, spesso sopra le righe, che si sono intrecciate attorno al murale dedicato a Morricone. Polemiche che si sono via via affievolite anche se non scomparse del tutto.
C’è da fare una premessa. Sin dalle prime pennellate (ce lo ha confermato l’artista Buglisi) quell’uomo con l’indice poggiato di traverso sulle labbra che invita al silenzio, anzi lo intima, non era stato riconosciuto come Morricone.
Fra l’altro il cipiglio, l’espressione particolarmente severa del volto, “copiato” dalla copertina dell’album del 2016, celebrativo dei 60 anni di carriera musicale (un album che non tutti conoscono), non aiutavano a individuare il Maestro mite e dolce che tutti sappiamo.
È successo allora che in tanti hanno visto in quell’immagine intimante il silenzio nella via Roccaforte, a “cento passi” da quello che fu uno dei nascondigli del boss Bernardo Provenzano (come ha confessato agli inquirenti il pentito Sergio Flamia che lo ospitò in casa della madre, in via
Roccaforte, appunto), il retaggio di un atteggiamento omertoso che si addirebbe a Bagheria, tristamente famosa come luogo di mafia.
E da più parti si è detto che si sarebbe potuto omaggiare diversamente
Morricone, magari con una delle tante immagini scattate nel giorno in cui 14 anni fa gli fu conferita la cittadinanza onoraria di Bagheria.
C’è altresì da rilevare che le obiezioni di chi ha mostrato di non gradire l’invito a tacere di Morricone sono state oggetto di polemiche, talune virulente. Il responsabile di un organo di stampa on line cittadino che si è permesso di criticare l’immagine osservando che possa prestarsi “ad interpretazioni meno nobili” di quelle volute dall’autore e dagli ideatori dell’iniziativa, è stato tacciato d’ignoranza e fatto segno a critiche feroci da parte di taluni “talebani” o integralisti che dir si voglia, irrispettosi delle
opinioni del prossimo.
Ora, come dicevamo, le critiche si sono smorzate e, delineatasi perfettamente l’immagine di Morricone con accanto Peppuccio Tornatore, non si dovrebbe più correre il rischio che una firma nazionale del giornalismo imbastisca il solito pezzo sulla Sicilia del «nenti sacciu, nenti
vitti e si chistu c’aiu dittu è dittu un aiu ditti mancu chistu».
Quest’affermazione è del professore Franco Lo Piparo che abbiamo ospitato due settimane fa in queste pagine. Il suo autorevole intervento, che è servito peraltro a placare le acque, ha lasciato chiaramente intendere che in fondo non sono così peregrine le obiezioni di chi ha dissentito e che occorrerebbe qualche aggiustamento quale, per esempio, una didascalia perché “il silenzio va sempre chiarito con parole.
Il silenzio da solo non esiste. Vive accompagnato con delle parole, non necessariamente dette, che gli diano senso. Non a caso la fotografia che
l’artista ha preso come modello ha una didascalia: «silenzio, parla la musica». La didascalia è parte della fotografia. La fotografia senza la didascalia potrebbe significare tutto e il contrario di tutto”.
Lo Piparo aggiunge: “Per stroncare qualsiasi strumentalizzazione malevola basterebbe ripristinare nel murales la didascalia che accompagna la fotografia (silenzio, parla la musica) e aggiungere una frase, ad esempio, come questa: Il silenzio musicale crea, il silenzio omertoso uccide”.
Lo Piparo conclude la sua riflessione invitando il Committente (Rotary club di Bagheria) e l’artista (Andrea Buglisi) ad apporre la didascalia. Con ciò “non solo eliminerebbero ogni equivoco malevolo ma scriverebbero un capitolo importante della storia urbanistica e civile di Bagheria. Via Roccaforte e il suo murales potrebbero diventare simbolo della Bagheria colta e non mafiosa.
Senza polemiche e col consenso di tutta la Bagheria onesta”.
Come onesti e amanti del bello hanno dimostrato di essere i novelli
sposi che si sono fatti fotografare sotto il murale.
Giuseppe Fumia
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