Come un sonnambulo Benedetto si aggirava per le strade che lo avevano visto correre e giocare, e ora, dopo quaranta anni, era tornato come attratto da un’ invisibile calamita. Tutto era cambiato: la casa di donna Mimma era in rovina, i balconi, che una volta erano una fioriera, ora erano cadenti e arrugginiti.
La testa di leone scolpita sul portoncino era ancora lì, con il suo eterno ghigno. Un gruppo di ragazzi a poca distanza giocava. Un pallone gli arrivò fra i piedi. Benedetto lo stoppò e lo calciò. I ragazzi batterono le mani, non aspettandosi che un uomo di quell’età potesse fare una simile prodezza. Anche Benedetto se ne stupì, perché era da diversi decenni che non calciava. Si avviò verso la casa dove era nato e con delusione notò che era stata trasformata in un garage.
Tutto gli sembrava misero e squallido. Le case tutt’intorno erano state abbandonate. Si fermò all’angolo della strada e di colpo alla mente gli affiorò il ricordo di quando, ragazzo, da quel posto, assieme ad amici, gridava ai soldati americani che transitavano: «Allò, John!» Loro fermavano la jeep e dopo manciate di caramelle e cioccolatini chiedevano con gesti e frasi storpiate la direzione del bordello. Se i militari non regalavano nulla, li mandavano in direzione di un terreno melmoso.
Otto lustri in Chicago lo avevano cambiato. Tutti i progetti che aveva fatto allora erano andati a farsi benedire, compreso il suo matrimonio.
In paese, dei suoi vecchi amici non aveva trovato nessuno, tutti emigrati. Un suo cugino ottantenne lo aveva ospitato in casa, che di moderno aveva solo un gabinettino e una doccia. Benedetto, che era tornato con il proposito di ristabilirsi in paese e di godersi la pensione, dopo alcuni giorni dubitava che sarebbe rimasto.
Quel lunedì si alzò presto e decise di fare un giro per il paese, bramoso di rivedere le strade e la piazza, che nei momenti di nostalgia affioravano nitide, specialmente durante le feste natalizie. E adesso tutto gli appariva scolorito e rimpicciolito. Solo gli odori inebrianti attorno ai forni, le dolcerie e le panellerie si erano salvati, come quello degli sfincioni. Trovò la grande piazza Matrice deserta, ma come per incanto Benedetto la vide affollata di contadini giornatari in attesa di essere ingaggiati per la raccolta dei limoni. Sentì il vocio dei ragazzi, anche loro in attesa di ingaggio, come trasportatori di panieri di agrumi.
Lavoro faticosissimo, la legge contro lo sfruttamento dei minori era ancora da venire. Anche lui aveva fatto quel lavoro e sapeva quanto fosse faticoso. La sera, stanchissimo, si ritrovava con le spalle sanguinanti e non poteva neanche lamentarsi perché l’avrebbero deriso e licenziato.
Nelle giornate in cui non trovava lavoro, passava l’intera mattinata a giocherellare in piazza con altri ragazzi, con la vergogna nel cuore. Presentarsi a casa e dire che nessuno lo aveva ingaggiato, era estremamente penoso. Sua madre vedendolo, con aria triste gli diceva: “Benedetto, non ti preoccupare, ca ‘u Signuri n’aiuta lu stessu.”
Dopo aver fatto il giro della piazza decise di percorrere la stradina dove c’era la taverna di don Nanò. Anche questa era stata cancellata dalla smania del moderno, al suo posto trovò un’agenzia di pompe funebri. Benedetto si soffermò e riandò ai tempi in cui quel locale era un punto d’incontro, là si fermavano a mangiare cantastorie, poeti e musicisti di strada, tutto un mondo di personaggi che tanto lo avevano entusiasmato.
In paese, negli anni cinquanta, i segni della guerra erano ancora visibili. Gli anglo-americani si erano sbizzarriti a bombardare la città di Palermo, raramente si inoltravano nei paesi, a meno che non ci fossero postazioni militari. Una notte, un aereo che doveva scaricare a Palermo fu intercettato e questo, per sfuggire, lasciò cadere il suo carico di morte in paese. Le sirene suonarono a tutto spiano, ma la gente se ne stette
in casa. Per fortuna tante di quelle bombe non esplosero, ma alcune fecero ugualmente morti. Una colpì una villa del Settecento, sfondò il
soffitto del salone, ma anche questa bomba non esplose. La situazione alimentare era alquanto drammatica: la gente si arrangiava
come poteva. La ripresa arrivò lenta.
Ripristinate le ferrovie e la viabilità, si riavviarono i commerci.
Per quei proprietari di limoneti che durante la guerra non avevano tagliato le piante per seminarvi grano, arrivò il periodo delle vacche
grasse. L’esportazione verso il Nord fece salire i prezzi. Con soli cinque chili di limoni si poteva pagare la giornata lavorativa di un contadino. Chi possedeva anche quattro tumuli (5600mq) di giardini aveva un alto reddito.
I contadini che vivevano alla giornata potevano a mala pena permettersi di nutrirsi di pane e minestra. La maggioranza vestiva con abiti riciclati dei militari. La povera gente si industriava e c’era chi rubacchiava. I guardiani dei limoneti avevano un gran da fare.
Benedetto ricordò un singolare personaggio che era uno dei più assidui avventori, un certo Vanni Traccia, soprannome affibbiato a un energumeno amante del vino e delle carte, che durante il fascismo si era fatto alcuni anni di galera per avere preso a pugni un gerarca locale e ingiuriato il duce. In cella dai suoi compagni venne alfabetizzato: imparò a leggere e scrivere e fu indottrinato di idee anarcoidi.
I compagni di vino fingevano di ascoltare i suoi bizzarri comizi, ma poi tutto finiva con il solito gioco del ‘tocco’. «Per me non ci sono né padroni né nobili e questo lo ha scritto il compagno Bakunin.
La pace e la fratellanza possono esserci solo se si elimina il profitto. Io a sgobbare dalla mattina alla sera per quattro soldi non me la sento e fazzu u saccunaru di limoni», diceva. Quando qualcuno gli domandava se con le sue idee rivoluzionarie fosse credente, rispondeva: «Sono un cristiano. Cristo era contro i ricchi e i potenti». Poi cambiando tono aggiungeva: «Spesso mi domando come hanno fatto a condannarlo a morte se trasformava l’acqua in vino.» A quel punto, con un sorriso ironico, rivolgeva uno sguardo ammiccante verso l’oste.
I guardiani dei giardini lo conoscevano tutti e sapevano della sua attività notturna.
Non ebbero mai la soddisfazione di pizzicarlo. Vanni Traccia non percorreva strade o viottoli; grazie alla sua forza, lanciava i sacchi oltre il muro, scavalcandolo. Qualcuno si domandava come facesse a raccogliere i limoni al buio. Un giorno confessò che adottava il metodo dei minatori, legando una pila elettrica al suo berretto. Uscendo dalla strada Benedetto si ricordò che doveva recarsi in banca e con grande sorpresa la trovò affollata. Lui che si era abituato alle code ordinate, faticò a infilarsi fra la calca davanti allo sportello.
Finalmente, quando fu davanti al cassiere, questi, senza neanche guardarlo in faccia domandò: «Che deve fare?» «Devo cambiare questo check! » «C’è qualcuno che la conosce?» I presenti infastiditi assunsero un’espressione da sculture orientali. «Ho qui con me il passaporto, non crede che basti?» Il cassiere, senza neanche ascoltarlo, gli tornò lo check; tutti intorno a lui tirarono un sospiro di sollievo e si infilarono al posto
suo. Benedetto rigirava il foglietto in mano brontolando. “Ma che assurdità è questa? In tutti i paesi questo è considerato denaro contante!”
Un tizio seduto su una panca si alzò con grande fatica, poggiandosi sul suo bastone: «Mi permette?» disse rivolgendosi a Benedetto.
Con il bastone toccò un tizio che gli chiudeva il passo e avvicinatosi allo sportello: «Lo può cambiare, garantisco io per il signore!» Il cassiere, come colpito da un raggio di sole, si illuminò in volto e con fare premuroso pagò lo check. Appena Benedetto uscì dalla calca cercò l’uomo che aveva garantito per lui, per ringraziarlo, ma questi era sparito. Dopo alcuni giorni, su un giornale esposto davanti a un’edicola, vide la foto dell’uomo che in banca lo aveva garantito; incuriosito lesse le poche righe sotto la foto: «Morto ieri sera, per un infarto, noto possidente».
Così comprò il giornale e quando rientrò a casa lo mostrò a suo cugino raccontandogli di essere stato garantito da quel tizio. Il cugino, dopo aver osservato la foto, mosse la testa: «Certo che poteva garantirti, questo Don Tano è! E poi, lo sai che se lui decideva di ritirare di colpo i suoi denari, quella banca poteva chiudere i battenti?»
Carlo Puleo
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