Quando John Bonanno scese dallo spider, trovò la grande piazza di Castel Alto assolata e deserta. Ma dopo che i suoi occhi si furono abituati alla luce abbagliante, notò tre vecchi seduti sotto un ombroso ficus, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani penzoloni.
John fece un mezzo giro su se stesso e proprio di fronte a lui vide l’insegna, quasi mangiata dal tempo “SALA DA BARBA COLA” . Stava per avviarsi quando si accorse del paletto col divieto di sosta. Mentre stava per risalire in auto per spostarla, uno dei vecchietti si alzò e salutandolo aggiunse: “Può lasciarla
li, il vigile è andato in pensione.”
Le frasi, dette nello slang di Brooklyn lo fecero trasalire domandandosi come faceva il vecchio a sapere che lui era siculo-americano. Ne il suo look, ne la macchina che aveva noleggiato a Palermo davano un segno. Riflettendoci capì che don Ramunno aveva disposto ogni cosa. L’appuntamento era stato fissato nella sala da barba.
Quando John entrò c’erano solamente Don Ramunno e Cola, che in quel momento affilava il rasoio su una cinghia di cuoio agganciata alla parete, battendolo con cadenza ritmata. Don Ramunno, seduto sulla poltrona girevole, gli sembrò un grosso pupazzo di neve, avvolto com’era in una tovaglia bianchissima.
Il volto era coperto da schiuma dello stesso tono dei bianchi capelli. Dalla tovaglia uscì una mano rugosa e ossuta che John strinse, mentre Cola fece solo un inchino senza spiccicare sillaba.
“Benvenuto, John, hai fatto buon viaggio?
Mio cugino Carmelo come sta?”
“Bene, bene, gli manda tanti saluti e questa scatola di sigari.”
“Ho saputo che vuoi scrivere un libro ambientato in Sicilia.
Cosa può interessarti il parere di un ignorante come me?”
Don Ramunno aveva scavalcato la ottantina, ma dai suoi occhi e dal tono della voce traspariva che il tempo non lo aveva ancora fiaccato. Nella sua vita, ricca di vicende, aveva anche collezionato una decina d’anni di carcere, ma ormai era fuori da ogni impegno. John si era fatto raccomandare da un cugino di Don Ramunno che da oltre quarant’anni gestiva una sartoria di lusso nella diciottesima strada di Brooklyn, dove si vestono i “big” e le celebrità del cinema e del teatro, come testimoniano le numerose foto appese nel suo bureau.
Due, in particolare, con dedica di Frank Sinatra e Silvester Stallone. Per telefono Don Ramunno accettò di esser intervistato, ma ad una condizione: niente registratori ne cineprese.
“Allora, Don Ramunno, mi può spiegare cos’è la mafia?”
Mosse la testa a destra e a manca e tossì: “Lasciamo perdere tutte le montagne di cazzate che hanno scritto quelli che hanno fatto carriera e fortuna con l’argomento. La mafia, alla fin-fine non è altro che un modo per fare soldi, denari, con qualunque mezzo. Perché i soldi fanno il potere, e tutto il resto è sceneggiata, per imbrogliare gli ominicchi e i pigghia ‘n’sacchetta.”
“Mi sa dire come mai, fra tutti i governi succedutisi negli anni, nessuno è stato capace di debellare
questo fenomeno?”
Nelle pause Cola puliva il rasoio dalla schiuma su un foglietto di carta posato sulla mensola di marmo
bianco, sotto il grande specchio dove nel bordo della cornice erano infilati santini e calendari con foto di donne nude. Cola, con le braccia a mezz’aria, attendeva il momento per dare qualche tocco col rasoio con delicatezza e maestria. Le sue movenze somigliavano a quelle di un direttore d’orchestra che al posto della bacchetta tenesse il rasoio. Da come procedeva sicuro, era chiaro che conosceva a memoria
le facce dei suoi clienti: dove c’erano rughe e dove bozzi.
“John, vuoi sapere come la mafia è sopravvissuta nel tempo? Secondo me perché il sistema è corrotto, connivente ed ipocrita. La mafia è come quei semi che possono restare sepolti per anni, ma che,
in condizioni favorevoli, si rianimano e germogliano.”
“Qual’è la strategia che la mafia usa per ottenere consensi?”
“Usa un codice semplice ed efficace: ogni uomo ha un prezzo, e chi non si può comprare si elimina, fisicamente o moralmente.”
“Ma mi può spiegare allora perché scoppiano le guerre di mafia?
“Questo è nella natura degli uomini, che non si contentano mai. Dietro ad ogni boss ci sono tanti aspiranti che scalpitano per prendere il suo posto. Gli emergenti, sempre più famelici e violenti, premono come una colata di lava. Quando il magma si raffredda, tutto torna come prima.”
“Adesso, se permette, vorrei farle un ultima domanda: se potesse tornare indietro, rifarebbe lo stesso percorso?” “Mai e poi mai! E’ una via senza uscita. Con le nuove leggi è molto raro che qualcuno possa godersi i proventi, ed in più si è sempre sotto ricatto. Io consiglio ai ragazzi di non infilarsi in questo tunnel, perché ormai la musica è cambiata ed anche il maestro…”
A quel punto Cola terminò la rasatura. Con le forbici che teneva nel taschino del grembiule tagliò i peli che fuoriuscivano dalle narici. Presa la bottiglietta di dopobarba, premette sulla pompetta di gomma inondando il volto liscio e roseo di Don Ramunno di vapore profumato.
Aprì un cassettino sotto la mensola e ne trasse un tovagliolo con il quale gli asciugò la faccia, premendo e ruotando come in un massaggio. Con mossa da torero, di rapida mantiglia, a colpo secco tolse la tovaglia che avvolgeva Don Ramunno e la ripiegò con precisione. Cola fece un inchino e dalle sue labbra uscì, come un soffio: “Vossia è servito!”
Don Ramunno lo ricambiò con un sorriso di gratitudine: “Cola è un vero artista. Farsi radere da lui è un privilegio, un vero godimento. Questa sala da barba è rimasta tale e quale come negli anni trenta. Adesso, John, ti voglio fare un piccolo regalo: tre amici ci allieteranno con la musica che si faceva nei saloni da barba nei tempi passati.”
Con perfetto tempismo entrarono tre persone che salutarono togliendosi in berretto.
John riconobbe in loro i tre vecchi seduti sotto il ficus, adesso muniti di strumenti: chitarra, fisarmonica e violino. Cola aprì uno sportello e ne trasse un mandolino, prendendo poi posto accanto gli altri.
Dopo essersi accordati, partirono con una mazurca e, come per incanto, la sala si animò di un’atmosfera festosa ed ammaliante. I musici si rivelarono dei veri professionisti, non sbagliando una nota ne una sfumatura. Dopo essersi esibiti in 5 pezzi, si alzarono accompagnati dagli applausi. John andò a complimentarsi stringendogli la mano.
Don Ramunno, con aria soddisfatta, si rivolse all’ospite: “Spero che hai gradito l’omaggio musicale. Ti auguro buone vacanze in Sicilia… e abbracciami a mio cugino Carmelo.”
Carlo Puleo
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