Tra le più comuni insidie stradali, certamente, rientrano le buche stradali o sui marciapiedi. Sulla questione sono intervenute,
negli anni, varie pronunce dei giudici che hanno stabilito se un soggetto – che ha subito un incidente a causa delle insidie
stradali – abbia diritto al risarcimento del danno.
È ben noto che il dovere di manutenzione stradale spetta il più delle volte al Comune proprietario della strada e – più in generale – alla P.A. Tuttavia, affinché quest’ultima sia obbligata a risarcire un pedone, devono sussistere vari fattori: il primo si rinviene nella prevedibilità del pericolo.
Per assurdo, infatti, tanto più una strada è dissestata, quanto più l’insidia è visibile e, pertanto, evitabile dal pedone. Muovendo da tale assunto, ne discende che grava sul pedone provare di aver adottato la dovuta prudenza e che l’infortunio subito non sia stato causa della sua disattenzione. Quello che si chiede al pedone, invero, è di dimostrare che l’infortunio sia stato causa di “un’insidia o un trabocchetto” non evitabile con l’ordinaria diligenza.
Per pronunciarsi sulla questione, il giudice dovrà, dunque, valutare caso per caso una serie di circostanze che incideranno
sulla sua decisione. Egli sarà chiamato a valutare:
- L’ampiezza della buca dal momento che, come suddetto, tanto più questa sarà visibile al pedone, quanto meno egli avrà possibilità di ottenere il risarcimento del danno subito;
- L’illuminazione della strada, determinante anch’essa per stabilire quanto fosse evidente l’insidia stradale;
- L’età del danneggiato, tanto più giovane sarà, quanto più facile sarebbe dovuto essere schivare il pericolo;
- La conoscenza dei luoghi, determinante sarà provare di essersi imbattuti in un’insidia sconosciuta e non – a titolo esemplificativo – in una buca posta davanti al portone di casa che si doveva conoscere.
Si deduce che, se ci si può accorgere – con sufficiente anticipo – della disconnessione perché questa è palese per differenza di colore o per l’ampiezza della zona interessata, non è possibile ottenere il risarcimento dei danni. In questa direzione si è
recentemente espressa la Corte di Cassazione, intervenendo con ordinanza n. 6403/2020.
Nel dettaglio, il caso di specie sul quale la Suprema Corte si è pronunciata riguarda una donna che conveniva in giudizio il
Comune al fine di ottenere il risarcimento dei danni, subiti per una caduta avvenuta a causa di una buca stradale. Di converso, il Comune si costituiva in giudizio per ottenere il rigetto della domanda. Il Tribunale adito – espletate le consulenze tecniche ed ascoltati i testimoni – rigettava la domanda della donna.
Quest’ultima ricorreva così al Tribunale di Appello, ma neanche in questo caso la sua richiesta trovava accoglimento. Pertanto, proponeva – in ultima istanza – ricorso in cassazione. Così la Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla questione, ha affermato che quanto più la situazione di possibile danno è prevedibile e superabile tramite l’adozione – dal parte del
danneggiato – dell’ordinaria diligenza, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel verificarsi del danno, fino a considerarlo tale da interrompere il nesso causale tra fatto ed evento dannoso.
Inoltre, la Corte ha precisato che la caduta – verificatasi in ora diurna – della donna era stata causata” sì “da un’ampia
sconnessione del marciapiede” che però “era ben visibile a causa della diversa connotazione cromatica rispetto alla restante parte del marciapiede”. E peraltro “nel punto ove era avvenuta la caduta, residuava comunque uno spazio sufficiente per un comodo e sicuro transito pedonale”.
Nessun dubbio, quindi, sul fatto che la donna avesse tenuto “una condotta non conforme al generale dovere di tutela
esigibile dagli utenti della strada”. Questa constatazione era sufficiente per respingere la richiesta di risarcimento
avanzata nei confronti del Comune, non ritenendolo responsabile né ex art. 2043 né ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.
Dott.ssa Silvia Sorci
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