Tra i fenomeni sicuramente riprovevoli condannabili sia dal punto di vista morale sia da quello giuridico, vi è, purtroppo, il sempre più frequente abbandono di animali. Ed invero, il nostro ordinamento configura tale pratica come un vero e proprio reato. L’abbandono di animali, rubricato all’art. 727 cod. pen., prevede che “chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudine della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. La ratio legis di tale reato deve essere rinvenuta nell’esigenza che venga tutelato il sentimento di comune pietà verso gli animali e nell’obiettivo di promuovere l’educazione civile attraverso la lotta all’insensibilità e alla crudeltà. Gli animali vanno, infatti, visti come esseri senzienti, dotati di una propria sensibilità e in grado di percepire il dolore che può derivare dall’abbandono e dalla mancanza di adeguate attenzioni.
Sul tema è, recentemente, intervenuta la Corte di Cassazione con sent. 6609/2020. Nel dettaglio, la vicenda esaminata, riguarda due coniugi separati: il marito, dovendosi allontanare per motivi di lavoro, affidava il cane all’ex moglie, nonostante conoscesse l’avversione della stessa nei confronti degli animali. Quest’ultima abbandonava il cane – di razza bulldog con microchip di riconoscimento – legandolo ad un palo sito davanti uno studio veterinario.
L’addetto del centro, una volta trovato il cane, contattava la donna che, tuttavia, non tornava indietro a prenderlo, condannando così l’animale al trasferimento in canile. Ciò posto, il Tribunale, pronunciandosi sulla questione, ha condannato entrambi i coniugi per abbandono di animali ex art. 727 cod. pen.
Avverso la sentenza di condanna, il marito ha proposto ricorso in Cassazione adducendo che difetterebbero gli elementi costitutivi del reato in esame. Con riferimento all’elemento oggetto, esso difetterebbe considerato che il cane, pur essendo stato lasciato legato al palo, è rimasto sprovvisto di custodia e cure per poco più di due ore, ed un lasso di tempo così breve non ha potuto determinare pericolo per la sua incolumità; con riferimento all’elemento soggettivo, si lamenta, invece, l’imputabilità della condotta al ricorrente, essendo stato accertato che il cane, al momento del fatto, era nella materiale disponibilità della moglie.
Di converso, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso. In particolare, la Corte ha, in primis, sottolineato che “integra la
contravvenzione di abbandono di animali la condotta di distacco volontario dell’animale, che consiste nell’interruzione della
relazione di custodia e di cura instaurata con l’animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non
riceverà alcuna cura, a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori conseguenti all’abbandono, quali le sofferenze o la
morte dell’animale”.
Ne deriva che, nel caso esaminato, si può affermare indubbiamente che il cane sia stato abbandonato, essendo stato
lasciato in balia di sé stesso per un tempo apprezzabile, senza essere affidato alla custodia e cura di alcun soggetto. In secundis, la Corte di Cassazione ha ribadito che in mancanza di accordi di separazione aventi ad oggetto l’affidamento dell’animale domestico, entrambi i coniugi separati rispondono del reato di abbandono ex art. 727 cod. pen.
Dott.ssa Silvia Sorci
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