Il mestiere di docente è sicuramente delicato ed è un lavoro di grande responsabilità; la funzione docente non si esaurisce, infatti, in un processo di insegnamento volto a promuovere lo sviluppo culturale dello studente, ma si pone altresì lo scopo di promuovere lo sviluppo umano, civile e professionale degli alunni.
Per questa ragione, appare ovvio che i docenti siano i primi a dover dare il giusto esempio e che ogni comportamento che si allontani da tale obiettivo vada punito. Proprio in ragione di questo assunto, una professoressa di un istituto superiore è stata condannata al carcere perché avrebbe accolto in classe gli studenti mostrando il dito medio e riservando una serie di insulti agli stessi.
Queste condotte erano anche accompagnate da lancio di oggetti, spintoni e colpi inferti con libri e registri. La professoressa non mancava, poi, di predire il futuro alle ragazze, per le quali descriveva un avvenire da mantenute in cambio di favori sessuali che non si faceva problemi ad elencare. Pertanto, la Cassazione – pronunciandosi sulla questione – con Sent. 7011/2021 ha condannato l’insegnante a tre mesi di reclusione, per abuso dei mezzi di correzione ex art. 571 cod. pen., valorizzando il fatto che la salute dei ragazzi nella difficile età dell’adolescenza era stata messa a rischio dai continui violenti
attacchi da parte di una figura che, nella loro vita, doveva ricoprire un ruolo ben diverso.
Gli insulti “anche con riguardo alla sfera sessuale, avevano determinato un concreto pericolo per la salute mentale e fisica
dei giovani alunni, adolescenti e perciò ancora tendenzialmente fragili sotto l’aspetto psichico”. Invero, l’art. 571 cod. pen. afferma che deve essere punito chiunque abusa dei mezzi di correzione o disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Dall’analisi testuale della norma, risulta chiaro che il reato in esame è subordinato al verificarsi di una condizione obiettiva di
punibilità. La condotta dell’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è infatti penalmente rilevante solo se da essa derivi, quantomeno, una malattia nel corpo o nella mente della vittima. La Corte afferma con fermezza che ciò sussiste in quanto “l’imputata interagiva con gli studenti con reiterate condotte pesantemente offensive e fisicamente aggressive, così da travalicare le finalità proprie del normale processo educativo.
Le continue aggressioni, verbali e fisiche, e le umiliazioni subite, con speciale riguardo alla intima sfera sessuale, avevano
determinato un concreto pericolo per la salute mentale dei giovani alunni di 14-15 anni, ancora adolescenti e tendenzialmente fragili sotto l’aspetto psichico. E ciò in linea con il costante insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza traumatica e rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo.”
La Suprema Corte, con la sentenza in esame ha, dunque, ribadito – in linea con le precedenti pronunce – che in ambito scolastico è sempre reato tenere condotte violente morali e fisiche, per finalità educative. Ed invero, così come si legge già nella Sent. 7969/2020 “in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l’intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità, sicché integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi.”
Dott.ssa Silvia Sorci
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