È frustrante ma va detto: quando si affronta l’argomento della depurazione delle acque nel nostro paese, la prima inevitabile immagine che prende forma è quella di un inserviente furbetto che nasconde la polvere sotto al tappeto.
Un’allegoria tragicomica che ha in sé, allo stesso tempo, anche un che di paradossale. Viene da chiedersi, in onore di una coerenza forse perduta, come questo sia possibile.
Siamo in un’epoca in cui la tutela dell’ambiente, se non l’attenzione alla minima pratica o abitudine sociale che abbia un impatto negativo sull’ecosistema, non solo è all’ordine del giorno nei social e nei giornali ma è anche una costante degli slogan politici. Basti pensare che nonostante la drammaticità dei mesi di marzo e aprile 2020, ad accompagnare l’andamento dei contagi da Covid19 c’è stato proprio questo argomento: quanto il lockdown e la conseguente riduzione dei gas di scarico di automobili e attività industriali, abbia enormemente giovato al nostro pianeta.
Eppure, nonostante la tutela dell’ambiente sia un tema ampiamente sentito, da difendere con tutte le nostre forze e – diciamolo – anche parecchio di moda, il nostro paese non sembra in grado di superare tutti quegli ostacoli economici, politici e – ahinoi – anche sociali che si frappongono alla realizzazione di impianti di depurazione che non facciano acqua (sporca, chiaramente) da tutte le parti. In politica, il tema sembra calzare a pennello con le campagne elettorali per poi morire silenziosamente nel corso dell’amministrazione.
E anzi, guardando alla nostra esperienza locale, si può dire che a parte alcune vampate passeggere, il problema della depurazione delle acque non ha mai ricevuto quella costanza e quella perseveranza che invece richiederebbe.
Forse perché a differenza di altre questioni pertinenti al rispetto ambientale – pensiamo allo smaltimento dei rifiuti – una depurazione inefficiente genera conseguenze nell’immediato meno aggressive per la qualità della vita di ciascuno di noi.
Però, se il lascito di sistemi di depurazione inadeguati non è visibile a occhio nudo e quindi qualcuno potrebbe anche pensare che non esista affatto, la nebbia comincia a diradarsi quando si studiano le carte.
In sede europea, infatti, il nostro paese è sommerso da richiami, condanne, procedure di infrazione in tema di trattamento depurativo delle acque reflue. Da ultimo, nel 2017 è stata disposta la nomina di un Commissario Straordinario Unico per il coordinamento degli interventi di adeguamento delle reti fognarie e degli impianti di depurazione. Commissariamento che, tuttavia, in alcuni casi si è scontrato con procedure già avviate per l’affidamento dei lavori di adeguamento, creando situazioni in cui impianti non a norma continuano a far capo al Comune. Un esito che, se possibile, rallenta ulteriormente la risoluzione del problema.
Il tema sta particolarmente a cuore all’onorevole Caterina Licatini, deputata del M5S, già al tempo intervenuta per il caso
dello scollamento a Santa Flavia tra gli interventi di completamento della rete fognaria – affidati al Commissario Unico – e
quelli di adeguamento del depuratore – affidati al Comune. Ultimamente, Licatini ha presentato un’interrogazione rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’ambiente e delle infrastrutture, nella quale, per l’appunto, si pone l’accento sul fatto che “il Commissario Unico assume le funzioni di soggetto attuatore limitatamente agli interventi per i quali non risulti già intervenuta l’aggiudicazione provvisoria dei lavori.
Molti interventi sono rimasti pertanto nella gestione, spesso carente, delle amministrazioni locali.” Proprio per questo vengono menzionati, come esempio, gli interventi rimasti in capo al Comune di Palermo per la rimozione degli scarichi a mare esistenti in corrispondenza della foce del fiume Oreto e in via Diaz: “lavori che non sono mai cominciati, con gravi ripercussioni sulla qualità delle acque del mare palermitano.”
Nell’interrogazione, Licatini chiede dunque ai Ministeri delucidazioni sulle iniziative di ricognizione e monitoraggio anche in
vista di un commissariamento al quale questi interventi, per via di procedure in corso, sono rimasti sottratti. L’onorevole Licatini ci spiega: “questa interrogazione riguarda situazioni abbandonate alla più totale incertezza; manca il commissario e il Ministero allarga le braccia. Invece bisogna pretendere che il Ministero si assuma questa responsabilità.”
Licatini, inoltre, ha premura di precisare come la Sicilia rappresenti la regione maggiormente coinvolta: “In Sicilia più della
metà degli impianti di depurazione non rispettano la normativa prevista dal Testo Unico per l’ambiente. Abbiamo impianti inadeguati, sottodimensionati, come nei casi in cui la città si è allargata lasciando indietro la capacità dell’impianto. Ma queste sono comunque le ipotesi meno gravi. In altri casi l’impianto non ha mai ricevuto alcuna manutenzione. Altre zone, addirittura, ne sono completamente sprovviste.”
Dei dati che, considerata la nostra reputazione in Europa, contribuiscono forse ad accentuare quel paradosso tirato in ballo in apertura, mentre lo scenario si fa sempre più inverosimile. Un’equazione impossibile dove i risultati, nella pratica, vanno tanto più a rilento quanto più stentorea si fa quella voce che da tempo invoca la svolta ambientalista del nostro paese.
Gioacchino D’Amico
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