L’emergenza rifiuti in Sicilia è legata alla penuria di impianti. Da troppo tempo (L.R. 9/2010) le SRR e la Regione hanno vivacchiato senza determinare le esigenze dei territori, né decidere quali impianti, quali capacità, dove realizzarli e come finanziarli. Non solo, la scelta di quali impianti è lo stadio finale di una strategia su come valorizzare i materiali dismessi, cioè una visione politica del futuro di questa martoriata regione.
La scelta è essenzialmente fra due opzioni: a) la gestione a freddo con il recupero di oggetti e materie prime seconde da reimmettere nel ciclo produzione-consumo (economia circolare) e b) smaltimento tramite b1=discarica o b2=incenerimento (a volte chiamato con un termine antiscientifico e truffaldino termovalorizzazione). L’Europa, che importa il 60% delle costose materie prime necessarie al suo sistema industriale, materie prime che dopo il consumo sono andate e vanno ancora distrutte, ha da tempo (2014) scelto la prima opzione. Ma in Italia ed in Sicilia c’è ancora chi non vuole arrendersi all’evidenza.
Zero Waste Sicilia vuole ribadire alcune considerazioni, concrete e non ideologiche, riguardo l’opzione b2), che oggi sembra la più gradita, a prescindere da tutte le considerazioni relative alle emissioni degli inceneritori che sono tossiche, cancerogene, nocive e nella migliore delle ipotesi climalteranti. L’emergenza odierna non può essere risolta dagli inceneritori:
1) Perché per costruirli ci vorrebbero almeno 5 anni, mentre da oggi i rifiuti vanno esportati;
2) Perché dal 2025 l’Europa vieterà l’incenerimento di tutti i materiali compostabili, recuperabili e riciclabili;
3) Perché più materiali vanno all’incenerimento, meno ne resta per il recupero;
4) Perché è falsa (e spesso in malafede) l’opinione che dove ci sono gli inceneritori la RD è più alta, infatti non c’è alcun nesso casuale fra alti livelli di RD ed incenerimento;
5) Perché un inceneritore è insostenibile economicamente, da quanto l’Europa ha vietato gli incentivi, tant’è che in tutta Europa si stanno attivando exit strategies dall’incenerimento, e va a chiudere anche il super lodato inceneritore Amager Bakke di Copenhagen, perché non avrà più sussidi pubblici;
6) Perché anche nel nord Italia, a Sesto San Giovanni, chiude l’inceneritore CORE della CAP per essere trasformato in un molto più utile biodigestore ed inceneritore di fanghi (residuo minimale);
7) Perché dopo l’incenerimento, emissioni gassose a parte, una frazione che va dal 22 al 27% sono le scorie che vanno smaltite a costi quadrupli in discariche speciali;
8) Perché con una seria prevenzione dei rifiuti (operazione culturale e politica a medio termine), magari introducendo subito la tariffa puntuale, e con politiche di riuso e recupero spinte la frazione di RSU da smaltire sarebbe minimale e non ne garantisce la sostenibilità economica (vedi 5);
9) Perché è ridicolo costruire 2 grossi inceneritori in Sicilia, mentre se si procedesse subito secondo le indicazioni del punto 8 tali impianti rischierebbero di restare semi vuoti.
In ultimo, va affermato che il vero problema dei rifiuti è che ne facciamo troppi e troppo velocemente per la capacità di Regione, SRR e comuni di gestirli e trasformarli in risorse di tutti. Al contrario, gli oltre 2 milioni di tonnellate annue di rifiuti siciliani fanno gola a pochi potenti gruppi che gestiscono impianti privati, e che trovano nell’emergenza la scorciatoia per farsi autorizzare impianti di ogni sorta e capacità, fino al riempimento ed alla successiva richiesta di ampliamento. Sarà forse per questo che le politiche di riduzione dei rifiuti non hanno mai avuto successo in Sicilia?
Beniamino Ginatempo, pres. di Zero Waste Sicilia
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