Quando nel posto in cui nasci ci trascorri tutta la vita – sognando come tutti, di tanto in tanto, fughe piene di desiderio di altrove che basta nulla a rivelare come pietosi autoinganni arriva il momento in cui cominci a pensare che quello sarà il
luogo in cui, presto a tardi, tirerai le cuoia. E ti prende un crampo alla bocca dell’anima quando, guardandoti indietro, provando a mettere ordine nei tuoi ricordi e nella percezione, nell’idea, che hai sviluppato della tua città, ti rendi conto che quella Storia, per molti versi, non puoi non leggerla come un progressione di smottamenti successivi verso la bruttezza, il disdoro, la rovina.
La Bagheria di oggi mi pare molto più brutta e senza prospettive della Bagheria di quando ero bambino – e parlo della fine degli anni Sessanta, dei primissimi anni Settanta, epoca in cui la città esplodeva di abusivismo, approssimazione amministrativa, incapacità di pensare il proprio futuro e di organizzarlo al meglio, nel rispetto delle generazioni venture, della storia del territorio, delle potenzialità economiche reali.
Certo, sono prossimo ai 54 anni e il lettore di queste brevi considerazioni potrebbe pensare: ecco un altro che si sdilinquisce in menate generazionali, che fa tesoro dei latinucci liceali biascicando il suo Oh tempora, oh mores, come hanno fatto tutti i vecchi che guardano con inguaribile nostalgia al “così fu”. Proverò a dimostrare che tale stato d’animo non mi appartiene. Lo scempio recentemente perpetrato sul più antico monumento della storia del territorio di Bagheria ne è segno certo: Bagheria oggi è peggiore di quella di mezzo secolo fa perché si rifiuta di apprendere dalla propria storia. Anzi, tenta addirittura di seppellirla.
“Nella campagna meridionale palermitana, tra Bagheria e Ficarazzi, esiste in ottimo stato di conservazione un acquedotto edificato tra il 1457 e il 1470 da Pietro Campo… importante documento del ritorno in grande scala alle coltivazioni agricole
irrigue nel secolo XV e al commercio legato ai prodotti. […] L’imprenditoria privata, realizzando una siffatta imponente opera di pubblica utilità, dà, in questo manufatto emblematico, la dimensione del suo ruolo nella rinascita quattrocentesca della Sicilia.
Tanto più che nel caso della valle dell’Eleuterio si trattava di colture di canna da zucchero in gran parte destinato al commercio d’esportazione” (G.Bellafiore, Architettura in Sicilia (1415- 1535), Italia nostra, Palermo 1984 p.69). Apprendo da un video che gira su Facebook a cura delle testata giornalistica “Ficarazzi oggi”, e di cui mi mette a parte un amico, che alcune splendide ogive che slanciano il su descritto monumento dal fondovalle dell’Eleuterio verso l’alto sono state in parte
interrate, nelle settimane scorse, da un criminale e totalmente abusivo e non controllato, non sorvegliato da chi di dovere – sversamento di inerti e sfabbricidi spacciato come terrazzamento.
Bisogna vedere quelle immagini per rendersi conto pienamente del danno arrecato: centinaia o migliaia di metri cubi di terra e detriti sono stati sversati con tracotanza e in spregio di ogni regola. E si riconosce in questa sicumera, nella noncuranza con cui si agisce alla luce del sole, la medesima determinazione cinica e criminale delle consorterie che dagli anni Cinquanta del secolo scorso hanno fatto esplodere il bubbone della nuova Bagheria a partire dallo scempio della Certosa di Palazzo Butera.
Mi chiedo: come è stato possibile che quei lavori siano andati avanti per settimane senza che le autorità disposte al controllo del territorio fossero allertate? Mi chiedo, soprattutto, perché la notizia non abbia avuto eco adeguata sui mezzi di informazione e perché gli amministratori che avrebbero dovuto trarre vanto dall’avere sventato una simile barbarie (o almeno averci messo una pietosa “pezza”) non abbiano illustrato ai cittadini con prontezza e con dovizia di particolari il delitto perpetrato.
È vero che il medesimo filmato di cui sopra informa che il cantiere edile è stato posto sotto sequestro da parte della polizia giudiziaria fin dal 4 giugno, ma proprio per questo ci sembra strano che niente altro noi cittadini abbiamo appreso in merito: noi che possiamo soltanto attingere all’informazione democratica per sapere cosa ci succede intorno. Non sappiamo ancora chi siano i responsabili dello scempio; non sappiamo se gli amministratori, sindaco e assessori competenti in testa, abbiano già provveduto ad allertare e denunziare il misfatto alle autorità competenti; non conosciamo quali azioni siano già state poste in essere al fine di obbligare il ripristino dello status quo ante del sito; o se si sia compresa l’entità della bomba idrogeologica innescata e, di conseguenza, si sia allertata la Protezione civile (alle prime, e ormai tropicalmente torrenziali, piogge autunnali il monumento rischia di subire ingenti, e forse irreparabili danni…. la recente lezione di Casteldaccia non ci ha insegnato nulla!).
Nei prossimi giorni a Bagheria si parlerà, temo anche si straparlerà, di Cantieri: spero che i convenuti abbiamo ben chiaro che non è un cantiere quello che – come ci mostra impietosamente il caso dell’acquedotto Campo – invece di costruire , e aprire prospettive nuove, e nel contempo rispettose dell’esistente, ammannisce l’ennesima zampata a storia e memoria. Purtroppo però, e la considerazione non può che far masticare fiele, i cantieri, in questa città, tendono a essere ossequiosi a una stolida e cinica “cancel culture” che ne ha marchiato a fuoco la storia recente. Proviamo a invertirne il corso, o, come sempre, chiuderemo gli occhi davanti a una evitabilissima barbarie?
Maurizio Padovano
Potete approfondire con i seguenti suggerimenti:
Scopri di più da BagheriaInfo.it
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.