Nell’epoca dei furbetti, in cui un numero imprecisato di lavoratori si allontana impunemente dall’ufficio per concedersi lunghe soste o sbrigare faccende personali, era inevitabile che anche la questione della pausa caffè finisse al vaglio dei giudici. Ed invero, la Corte di Cassazione – – si è recentemente pronunciata su un caso riguardante due lavoratori del settore pubblico che, a seguito di un controllo dei Carabinieri, erano risultati assenti dall’ufficio, senza avere prima timbrato il cartellino.
Nel dettaglio, uno dei due si era allontanato dalla scrivania per una pausa caffè, mentre il secondo si era recato dal tabaccaio per
acquistare le sigarette. I due dipendenti, una volta citati in giudizio, hanno addotto a sostegno della loro difesa la “tenuità del fatto”, dal momento che l’allontanamento dal posto di lavoro era avvenuto per delle piccole esigenze personali e durato solo pochi minuti.
Specificatamente, il dipendente che si era allontanato per andare a prendere il caffè ha considerato questa sua azione come necessaria”, in quanto nell’ufficio comunale non vi è un distributore automatico di bevande; parallelamente, il dipendente che si era recato dal tabaccaio si è riferito alla “sfortuna” nella quale si è imbattuto, in quanto durante la sua carriera non gli era mai capitato
di incorrere in una situazione simile.
Visto da questo punto di vista, l’allontanamento dei due dipendenti non sembrerebbe di certo un reato! Tuttavia tale comportamento
può, invece, costare caro a chi lo pone in essere. Ai sensi del nuovo testo riguardante il licenziamento disciplinare, è obbligo del dipendente, ogni qualvolta si allontana dal proprio posto di lavoro, timbrare sempre il cartellino; caso contrario lo stesso rischia di incappare nel reato di falsa attestazione della presenza, anche se ad autorizzare la pausa è stato il capo, a voce.
L’art. 55-quater, comma 1 bis, statuisce, infatti, che “Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità
fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione
circa il rispetto dell’orario di lavoro”. Inoltre, è opportuno sottolineare che per potere irrogare la sanzione penale della reclusione e
della multa, così come previsto dall’articolo in parola, è sufficiente che il lavoratore sia a conoscenza della esistenza di un vincolo alla
utilizzazione del badge e che lo stesso si sia allontanato dall’ufficio senza registrare la sua assenza nel sistema di rilevazione delle presenze.
Non è necessario dimostrare ulteriormente che la condotta del dipendente è stata caratterizzata dalla continuità o dalla abitualità o dalla reiterazione; anche un singolo episodio integra gli estremi per la maturazione del reato. Ed è proprio muovendo da questo assunto che la Suprema Corte ha confermato la condanna nei confronti dei due dipendenti, aprendo tuttavia la strada ad una attenuante, la “tenuità del reato”.
I giudici di Cassazione hanno, dunque, ribadito che il lavoratore pubblico, per allontanarsi dal posto di lavoro per una pausa, senza
rischiare di incappare nella «falsa attestazione della presenza», prevista dalla cosiddetta legge Brunetta, deve sempre timbrare il
cartellino o far passare il badge. Tuttavia, quando la ripetitività della condotta non possa essere dimostrata in concreto, non bastando allusioni dei lavoratori. Se non ci sono prove, quindi, deve essere applicata la tenuità del fatto. Quest’ultima consiste in una
specifica causa di non punibilità.
In pratica, il reato sussiste (resta nel casellario dei due lavoratori), ma non è punibile; restano, eventualmente, le possibili conseguenze risarcitorie, quali ad esempio risarcire il danno subito dall’ente pubblico. Ciò posto, è chiara tanto la volontà del legislatore, quanto quella della giurisprudenza, di punire duramente i comportamenti che creano disservizi e determinano danni
rilevanti alla credibilità delle Pubbliche Amministrazioni. Un comportamento di questo tipo non fa altro che aumentare il diffuso malumore che si ha nei confronti della categoria dei pubblici dipendenti e, pertanto, va combattuto.
Silvia Sorci
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