Teresa entrò in casa come una furia e gridava:-“…chi briuagna…che vergogna… la colpa è tutta vostra…”. Saruzzu, il marito la talìava sorpreso ed esclamò:-“…che cosa ti è successo oggi, perché la colpa è nostra, di chi…?”. Teresa quel pomeriggio era andata a fare
la spesa al supermercato di via De Spuches e tra gli scaffali della frutta e degli ortaggi vide dei piccoli limoni sfusi con un bollino che attestava la provenienza, arrivavano dal Sudafrica; più avanti imbrigliati in una retina gialla altri limoni, altro sconcerto, arrivavano
dalla Argentina!, e non era finita, in un pancale giacevano altri limoni, questi erano belli grossi, tipo mele, erano marcate Israele!
Teresa era schifiata, “non c’è più mondo, noi la patria dei limoni che importiamo limoni da tutto il mondo!”. Quella sera in casa Scimò ci furono discussioni animate, le fimmini rimproverarono agli uomini di non essere stati più capaci di coltivare limoni e Saruzzu rimase zitto consapevole che la moglie non aveva tutti i torti di essere arraggiata.
L’indomani alla Cooperativa Conca d’Oro, chiusa dai tempi dello scafazzo e con i soci che si passavano il tempo seduti davanti al portone spalancato a chiacchierare al fresco, u zù Saruzzu invitò a don Pietro e a Cusimuzzu u “longu” di accompagnarlo al supermercato di via del Camposanto con la scusa di comprare delle cose che sua moglie aveva dimenticato. Girando per i corridoi passarono davanti al reparto degli ortaggi notò subito che oltre ai limoni già citati da Teresa vi erano in bella mostra dei grandi limoni, come quelli amalfitani, tipo “pirrittuna”, con il bollino “Spagna”! -“…talè, talè che sono furbi sti spagnoli, ci mandano i limoni tuttu pappa e nenti sucu…” disse don Pietro un poco sorpreso. –“…caro Pietro, guarda questi altri limoni da dove arrivano, e vedi questo succo d’arancia dove è imbottigliato, leggi…San Pellegrino, Bergamo e questa orzata, talìa ccà!, a Bologna, così pure la cedrata!…”. -:”…carissimi Pietro e Saruzzu, la questione non è il succu o la pappa, qui ormai arrivano limoni da tutto il mondo, mentre i nostri limoni
sono scomparsi dai mercati, spirieru n’to balluni!”.
E don Saruzzu ribattè:-“…eh certo ormai non coltiviamo più mancu un vattale, avemu tutti i naschi chini grazie allo scafazzo e abbiamo abbandonato tutte le nostre campagne, oh santudiavuluni ma dove siamo andati a finire! Sì, la colpa cari soci è tutta nostra, della nostra avidità, della nostra ignoranza, abbiamo voluto tutto e subito, ci è piaciuto arricchirci alle spalle della società, del governo, anche se il governo ce lo ha permesso, siamo stati tutti truffaldini!
Prima tutti coltivavamo i belli limoni che erano il nostro oro! Come brillavano all’albero! Ci dedicavamo con cura e amore ad abbivirari, a dare l’arruspigghiata, potavamo con delicatezza, via i sagisughe e l’arruciavamu per combattere la formicola argentina, a musca, u pidocchio e ora che facciamo, ci guardiamo in faccia senza fare niente, senza parlare, senza avere voglia di andare in campagna, nemmeno per andare a vedere che fine hanno fatto i nostri alberi di limoni!!
E guardate il magazzino, il nostro vecchio “malaseno” vuoto, silenzioso, pieno di pruvulazzu, con i casciuna e gli ares di plastica con i colori sbiaditi, le cursie sfondate, le vasche asciutte, i camion fermi, scala e panara rotti, forbici per spiricuddari e seghe arrancitusi, ma vi rendete conto che fine abbiamo fatto?!”.
-:”…ammia mi chianci u cori, a notti non riesco a pigliari sonnu, mi votu e mi rivotu no lettu e mia moglie mi vuole ittari fuori… ” Cosimuzzu disse con voce piatusa. E Pietro con voce incerta:- “…io la mattina mi alzavo alle 5 e andavo in campagna, mi sentivo
un leone, ero sempre allegro e pimpante, ora mi pare male ma mi sentu una cosa inutile…”. –“…eh cari amici miei, questo stato di cose lo abbiamo creato e voluto noi, abbiamo mangiato a 4 bocconi, ci siamo arricchiti ma è una ricchezza senza soddisfazione,
siamo tristi e rimpiangiamo il nostro passato, sì i nostri figli e i nostri nipoti hanno studiato, si sono laureati ma della campagna non hanno voluto sentire mancu u ciavuru, perché le nostre campagne non avevano un futuro, erano abbandonate, alberi secchi tra gramigna, erba di vento e rovertiche, chi poteva coltivarle in quelle condizioni e i picciotti scappavano, l’agricoltura moriva, la colpa è tutta nostra!!!”.
Adesso le nostre campagne, una volta in passato definite dai più grandi scrittori, viaggiatori e artisti, il Paradiso in terra, sono diventate pezzi di terra tristi, senza anima, colori e profumi, coltivate a niente…
Giuseppe Morreale
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