Fino a circa la metà degli anni Sessanta la spazzatura, che non era quella dei nostri giorni, era considerata preziosa, tanto che veniva
utilizzata anche dai privati per concimare orti e limoneti. Anche allora la nostra città era sfornita di una discarica legale per terriccio e residui di demolizioni. Ed ecco un personaggio affiorare dai miei ricordi: un precursore delle discariche abusive, come sono comunemente chiamate oggi.
Allora venivano considerate solo delle scostumatezze e comunque raramente vi si faceva caso. Gli ecologisti non erano ancora nati.
Alfonso Granitola era conosciuto in paese con il soprannome di “‘U pigni pagni”, credo per la sua balbuzie e per il suo dondolarsi nel camminare. Con difficoltà si riusciva a dialogare con lui, perché era troppo emotivo e le parole gli si inceppavano in gola, con varie emissioni di suoni gutturali e reiterazione di alcune sillabe, tanto che agli interlocutori scappava talvolta da ridere, con l’effetto di innervosirlo e di bloccarlo totalmente.
Viveva con una sorella sessantenne, in una casupola a pian terreno di circa trenta metri quadri, che durante la notte ospitava anche il loro asino. La donna, per guadagnarsi da vivere, si industriava a svolgere lavori di pulizia, lavava scale e altro, mentre lui si era inventato un lavoro con il suo “scecco” e uno sgangherato carretto, consistente nel trasportare piccole mercanzie: ceste di frutta dal mercato comunale alle botteghe dei fruttivendoli o terriccio e vario materiale di risulta da sgombrare.
Alfonso stazionava di solito nei paraggi della grande piazza in attesa di qualche cliente, certe giornate girovagava per le strade del paese sperando che qualcuno lo ingaggiasse. Non esistendo una discarica comunale, si arrangiava come poteva a scaricare il materiale, scegliendo di volta in volta dove vi fosse qualche spazio libero e solitario: sganciava il sottopancia dell’asino e si liberava
furtivamente del fardello.
Tale comportamento non mancava di creare lamentele da parte dei privati, che si trovavano accumulati davanti al proprio terreno
mucchi di materiale indesiderato. Alcuni si rivolgevano ai vigili urbani, i quali, pur sospettando chi fosse l’autore di tali opere, sorvolavano, sapendo che quella era l’unica fonte di sostentamento di quell’uomo. Tuttavia, più di una volta lo avevano richiamato,
avvertendolo che se lo avessero colto in flagrante, lo avrebbero fortemente multato.
Ma lui negava emettendo il solito confuso balbettio. Ai vigili scappava da ridere e tutto finiva lì. Un giorno le lamentele arrivarono
al comandante dei vigili. Questi si impegnò ad affrontare seriamente il caso. Chiamò i suoi dipendenti e ordinò loro di accertare
chi fosse a trasportare quel tipo di materiale, multandolo senza riserve. Qualche tempo dopo, due vigili incontrarono Alfonso con un carico di terriccio e lo seguirono a distanza per poterlo cogliere in flagrante.
Egli si diresse per Via del Fonditore, un’antica strada che dal paese sbocca sulla Nazionale nei pressi del Fiume Eleuterio. Ma un tizio in bicicletta, di quelli che solitamente non nutrono eccessiva simpatia per i tutori dell’ordine, intuì cosa stava accadendo e quindi li superò, raggiunse Alfonso, lo salutò e gli fece segno ponendosi due dita sotto il naso, a voler significare che era seguito dagli ‘sbirri’.
Alfonso lo ringraziò e poi, rivolgendosi al suo scecco: “Fifiddu, isa i pedi, che oggi i sbirri ce l’hanno con noi e se ci fanno la multa resti digiuno tu e io pure”.
Era una consuetudine quella di Alfonso di colloquiare con l’asino, esprimendosi senza incespicamenti né balbettii. E così, durante i tragitti, si intratteneva in lunghi monologhi, sfogandosi e a volte canticchiando alla maniera dei carrettieri. Era convinto che l’animale seguisse i suoi discorsi o le sue storie, addirittura che li gradisse, ciò desumendo dal fatto che, di tanto in tanto, l’animale lasciava ciondolare la testa quasi assentendo, mentre probabilmente il vero motivo era quello di allontanare le mosche.
I vigili ignari continuavano a seguirlo, attendendo, prima o poi, il momento dello scarico, mentre Alfonso continuava ad andare avanti, imboccando a un tratto una trazzera che si congiunge con la Nazionale e quindi tornando verso il paese. I vigili a quel punto non ebbero dubbi: l’uomo era stato avvertito. Spazientiti, lo raggiunsero, si affiancarono al carro e con una punta di ironia domandarono:
“Alfonso dove porti questo materiale?”
Egli senza scomporsi rispose:
“A me’ casa, picchì c’è cosa?”. “
Ma vai, cammina, chi vuoi prendere per i fondelli”,
ribatterono i vigili, “che bisogno avevi di fare questo lungo giro?”
E lui rispose, in tono vagamente canzonatorio:
“Mah, è stato il mio scecco a volerlo questo tragitto, certe giornate comanda lui”.
Carlo Puleo
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