La scia di devastazione lasciata dal maltempo che si è abbattuto sulla Sicilia orientale, somiglia a una profonda ferita da cui sgorga il dolore di una terra dalle mille contraddizioni. Uno scenario che, in quanto a gravità e drammaticità dei danni, potrebbe in parte ricordare la tragedia a cui abbiamo assistito quest’estate: l’inferno implacabile che ha afflitto i nostri boschi, provocando danni incalcolabili all’ambiente, alle persone, alle attività lavorative.
Un fenomeno, quello dei roghi estivi, per il quale proprio in questi giorni si sono svolti i lavori parlamentari per un più preciso e capillare sistema di prevenzione degli incendi. Eppure, è un fenomeno “scottante” al quale, per certi versi, le istituzioni locali non sembrano più dedicare troppa attenzione, almeno non apparentemente, quasi che il problema possa andare per il momento in stand-by, riposto in qualche baule come si fa con gli indumenti per il cambio stagione. Ora, però, non sono le fiamme a portare caos, dolore e distruzione. Come una sorta di sardonica regola del contrappasso, la tragedia adesso sta tutta negli allagamenti provocati dall’ondata di maltempo che ancora una volta ha colto la nostra terra del tutto impreparata.
L’alluvione ha causato morti, ha bloccato strade, inondato case e ospedali, coinvolto aziende agricole e distrutto intere piantagioni
che per molte famiglie rappresentavano il lavoro di una vita. Tutto è stato inghiottito dall’acqua, proprio come in estate tutto è stato spazzato via dalle fiamme. E così, una triste intermittenza di tragedie stagionali, un continuo oscillare tra desertificazione e allagamenti, procura nel giro di pochissimo tempo alla nostra Sicilia l’infelice primato di regione potenzialmente più colpita dagli effetti del cambiamento climatico. Ma è difficile credere che sia soltanto questo il problema. Poiché, d’altra parte, è altrettanto difficile credere che la cause di un simile martirio siano state assolutamente imprevedibili: sia per quanto riguarda gli incendi estivi, sia per quanto riguarda le alluvioni.
Non serve un campione di memoria, come quelli che ricordano fanaticamente tutte le date di storia, per accorgersi che il dramma degli incendi – in particolare nella nostra regione – è tutto fuorché occasionale. È, anzi, una sorta di amara ricorrenza estiva. Un’odiosa tradizione che si compone di circa 600 incendi all’anno – la stragrande maggioranza dei quali di origine dolosa –, con la conseguente perdita di 15.000 ettari di superficie boschiva che, nel tempo, porterà alla compromissione irreversibile dell’ecosistema naturale.
Le norme del recentissimo “decreto incendi” promuovono sicuramente modelli più certosini per il controllo del territorio, investimenti
più generosi per le tecnologie di prevenzione, sanzioni più rigide per coloro che appiccano il fuoco. Forse, però, un dato importante da considerare è quello della scarsa preparazione locale e delle carenti risorse di cui dispongono Regioni e amministrazioni per garantire una prevenzione efficace, o almeno un tempestivo intervento davanti a episodi di questo genere.
Lo stesso si potrebbe dire anche sul versante delle alluvioni? Di certo, quella prevedibilità (più storica che statistica) che caratterizza
gli incendi, non sembra valere del tutto anche per i fenomeni atmosferici avversi, per i quali si parla di problemi differenti.
Però, secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, è stato lo stesso Capo Dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio
Curcio, ad esprimersi sulle alluvioni in Sicilia parlando di un “paese fragile” dove “il 90 per cento dei comuni sono soggetti a rischio idraulico e idrogeologico, e il 40 per cento sono in classe uno o due per il rischio sismico.”
Questi, senza dubbio, sarebbero elementi da tenere in considerazione a prescindere dalle tragedie e, possibilmente, prima del
sopraggiungere di un’alluvione, di un terremoto o di qualsiasi altra calamità naturale. Tanto più se si considera che in gioco c’è la vita delle persone. A ciò si aggiungono i ritardi di talune opere infrastrutturali che interessano la Sicilia orientale: in particolare, si è parlato del canale di gronda di Catania iniziato nel 1985 e mai terminato. Non si potrà ipotizzare – per i nubifragi – una prevedibilità (o
ciclicità) analoga a quella degli incendi, ma è chiaro che un maggiore sforzo di prevenzione anche in questo caso non avrebbe guastato.
D’altra parte, riecheggia ancora la promessa elettorale di una Sicilia che diventerà bellissima. Forse, però, non è esattamente di questo che abbiamo bisogno. Magari occorre soltanto fare in modo che quella bellezza già intrinseca nella nostra terra si esprima al meglio, cominciando proprio con l’impedire che ad agosto si vada a fuoco, e che ad ottobre si anneghi nella pioggia.
Gioacchino D’Amico
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