Lo scorso 24 novembre 2020 – data che precede la giornata mondiale contro la violenza sulle donne – la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che farà storia. La Suprema Corte, con sentenza n. 26757/2020, ha sancito l’obbligo per lo Stato di risarcire le vittime di reati violenti ed intenzionali, impossibilitate ad ottenere il risarcimento dall’autore del danno.
Secondo tale pronuncia, lo Stato dovrà riconoscere alla vittima un indennizzo il cui importo non potrà essere puramente simbolico, ma sarà parametrato e valutato in base al crimine, alla sua gravità ed ai danni morali e materiali che ne siano conseguiti. Per ottenerlo, la vittima dovrà trovarsi nella condizione di oggettiva difficoltà dell’agire esecutivamente contro l’aggressore.
LA VICENDA
Il caso di specie riguarda una cittadina italiana – di origini rumene – che veniva aggredita, sequestrata e costretta con violenze e
minacce a praticare e subire, ripetutamente, atti sessuali da parte di due cittadini rumeni. Questi ultimi venivano condannati alla pena di dieci anni e sei mesi di reclusione, oltre ad un risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio.
Tuttavia, la vittima non riusciva ad ottenere il risarcimento, in quanto i rei si erano resi latitanti. Pertanto, la stessa citava in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri affinché ne venisse dichiarata la responsabilità civile per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/08/CE del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime. Ed invero, entro il 1° luglio 2005 – gli Stati membri avrebbero dovuto introdurre un sistema generalizzato di tutela indennitaria, idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali.
LA DECISIONE
La Corte di Cassazione si è così pronunciata confermando la responsabilità dello Stato per omessa, incompleta o tardiva trasposizione delle direttive europee all’interno dell’ordinamento. Ciò posto, è necessario sottolineare che non bisogna confondere il danno patito dalla vittima per la ritardata trasposizione della direttiva con quello scaturente dal fatto illecito, in quanto dal primo deriva il diritto al risarcimento e dal secondo il diritto all’indennizzo.
Dall’importo risarcitorio riconosciuto dai giudici, tuttavia, viene defalcata la somma percepita dalla vittima a titolo di indennizzo, in virtù della compensatio lucri cum danno. Quest’ultima, ricordiamo, consiste nel principio secondo il quale la determinazione del danno risarcibile deve tenere conto degli effetti vantaggiosi per il danneggiato, che hanno causa immediata e diretta nel fatto dannoso.
L’orientamento della Suprema Corte è stato accolto con favore, dal momento che l’idea di una tutela risarcitoria statale è in linea con quanto perseguito, già dagli anni 60, dagli Stati membri dell’UE, che hanno sviluppato sistemi di risarcimento per le vittime impossibilitate ad ottenere la riparazione dei danni dagli autori del crimine.
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