È quanto accaduto con la sentenza n.42653/2010 con cui la Cassazione ha confermato la condanna inflitta ad un uomo per aver offeso la reputazione di un altro soggetto, pubblicamente, mediante un avviso affisso in bacheca. Nel dettaglio, la vittima si era rifiutata di pagare le prestazioni di un avvocato per una vertenza di cui si occupava un sindacato cui non era iscritto; adduceva, pertanto, a sostegno del suo rifiuto di non aver personalmente conferito alcun mandato e non essere stato neppure avvertito che, con una delega generica, avrebbe dovuto comunque poi sostenere le spese legali.
Così, il condannato aveva deciso di affiggere nella bacheca aziendale una lettera indirizzata alla parte offesa con il chiaro e preciso
intento di esporre a ridicolo la vittima. All’interno del testo che ha portato alla condanna dell’autore, quest’ultimo dichiarava espressamente “… un bambino in analoga situazione assumerebbe una posizione certamente più dignitosa della sua… la invito ad apprezzare ed imparare quotidianamente come un bravo scolaro sa fare i lati buoni della vita e non certamente i lati subdoli e peggiori come ha finora fatto… La saluto, citandole la stupenda favola di Pinocchio che ad ogni bugia gli si allungava sempre più
il naso fino a diventare lungo lungo, rammentandole inoltre che all’interno di *** non esiste alcun Babbo Natale o Befana che
concedano regali a personaggi come lei”.
L’offensività riscontrata per la divulgazione della missiva non è stata esclusa dal giudice per ritenuta insussistenza dell’esercizio
del diritto di critica (art. 51 cod. pen.), nonché per insussistenza di ritorsione o reciprocità (art. 598 c.p.p.).
Ed invero, il Tribunale, cui la questione è stata proposta, ha ritenuto che la lettera affissa in bacheca fosse stata scritta solo ed esclusivamente con l’intento di porre in ridicolo il destinatario all’interno dell’ambiente di lavoro in cui lavorava. Per questi motivi la Corte ha rigettato il ricorso del ricorrente e lo ha condannato al pagamento delle spese del procedimento.
La Suprema Corte ha, dunque, voluto confermare la condanna a chi, tra il serio ed il faceto, invocando Babbo Natale e la Befana,
ha voluto danneggiare la reputazione di un soggetto, esponendolo al ridicolo proprio nel luogo di lavoro.
Dott.ssa Silvia Sorci
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