Il Santo Natale in paradiso. Il suono delle campane arriva piano come fosse lontano, è Natale, la notte di Natale

Un tuffo nella memoria, giù, ancora più giù, toccare il fondo, scoprire la verità, dura o semplice, vissuta nell’inferno, sperando
nel paradiso. Una persiana sbatte forte, il vento sale dalla marina, gocce d’acqua segnano un sentiero sul vetro illuminato dalle luci
dell’albero di Natale, mesto e solitario in un angolo della stanza: il suono delle campane arriva piano, come fosse lontano, è Natale, la notte di Natale.

La festa della “Madonna” è passata via da pochi giorni, è tornata nella sua Chiesa accompagnata da una folla immensa, tutta Ficarazzi
dietro la sua vara, la banda musicale, la “masculiata” sotto il Castello, i giochi di fuoco che accendono il cielo blu sopra la “Figurella”, Padre Passamonte è stanco, ha il fiatone ma è felice. Solo al buio della notte, il mio pensiero va ai tanti drammi che coronano la nostra vita: terremoti, l’Etna fumante, alluvioni, ponti che cadono, paesi che scivolano tra frane e smottamenti, la crisi eterna della Fiat, Termini che piange, la disoccupazione, le malattie, i terroristi, la mafia che dorme, ma non dorme…Chiudo gli occhi, prendo sonno e sogno.

C’è un cancello bianco, è aperto, nuvole bianchissime, un campo di nuvole senza recinto, libero. Un fiume dalle acque chiare, ai
lati un letto di papiri e dentro quelle acque dei coccodrilli, grandi, lucidi, silenziosi. Dicono che nel fiume Eleuterio una volta c’erano i coccodrilli. Sopra una timpa c’è Carruzzu, piccolo, nero, con la coppola in testa, pesca pesci che risalgono la corrente del mare, saltano in aria, sono vivi! La luna è chiara, limpida, c’è un sole come un’arancia che colpisce il Corso attraverso il cancello a bruciapelo, calma assoluta, cani bianchi che girano per quei viali tra le nuvole, un vento caldo fa sbattere le palme alte e verdi, c’è il mare, è il cielo azzurro, costellato da pale di fichidindia, piante di agave e un grande carrubbo, alcune persone prendono il fresco sotto la sua ombra, sono sbracciate in camicie bianche, con le bretelle che tengono su ampi pantaloni, ridono, riconosco a don Bartolo, don Atanasio, u zù Pippinu, a Turiddu, Masinu, Tatò, sono tutti candidi, lisci e sereni, malgrado il gran caldo stanno freschi.

Il paesaggio che ammiro sembra un quadro dipinto da Giambecchina: vedo il Pizzo Cannita, tanto verde e le rocce grigie, il fiume
a valle, la trazzera che disegna una esse, comincio a capire, questa è un’altra Ficarazzi, un’altra epoca, tutto appare fermo, antico.
Una grande vasca, una “gebbia”, attorno ci sono 12 gatti in pietra d’Aspra, dal fondo spunta Mariuccio, chiama all’appello gli altri
ragazzi, lo seguono, la sua andatura è leggera, la sua voce è piena, i suoi capelli biondi brillano al sole, è felice, è contento! Qui
l’acqua arriva, la spiaggia è pulita, la Crocicchia è immensa, arriva fin sopra la trazzera, non c’è strada, non ci sono macchine, non ci sono rumori, non si sentono sirene, volano gli uccelli, i gabbiani cavalcano le onde, le cicale vanno a morire cantando.

Arriva u zù Filippo, sembra Pecos Bill con le sue pistole sotto le ascelle; Andrea è Zorro Kid, le sue battute palermitane, gli sfottò
all’interno del Salone sprigionano allegria. Non ci sono code all’Ufficio Postale, la pensione non la vogliono, non lavorano, non cercano raccomandazioni, tutti sono ricchi, nessuno è povero, ricchi di bontà, nel cuore, negli occhi. Qui non ci sono marciapiedi scrostati o buche, ma nuvole su cui i passi felpati non fanno rumore, non cim sono “firriati”, steccati, ma estensioni di nuvole con viali alberati, animali come conigli, cervi, daini, ma nessuno li caccia; larghi fossati con sorgenti, qualche isolotto, grandi edifici stile Chiese dove la gente entra senza orari e senza limiti.

Si incontra padre Salvatore con la sua veste bianca, prega circondato da tanti fedeli che non lo lasciano mai solo. –“…padre Salvatore
è stato bello conoscerti, il nostro amore e pensiero va a Dio ma anche a te…”, così lo acclamano un gruppo di donne col velo in testa, tra cui spicca seppur minuta e esile ma forte d’animo e di ardente fede la “zà Ninuzza”.

Il Castello antico e imponente si staglia nell’orizzonte celeste, le sue gradinate d’arenarie sono scalate da gente serena, calma, ordinata, silenziosa. Nelle sue stanze bianche dai soffitti alti la zia Rosina insieme alla sua “mastra” cuciono bianchi vestiti e don
Agostino disegna e taglia tonache per le religiose, inni sacri si levano alte per le volte e i torrini.

Bianchi cavalli nitriscono e scalpitano nelle stalle dei “bassi”, più giù una fontana maestosa si erge con agili zampilli, delle donne
cantano e lavano i panni, stanchi asini bevono l’acqua che scorre. –“…sono immortale…”, grida Salvatore, anche in questo paradiso
celeste non si ferma, dietro a lui tanti giovani alzano montagne di nuvole, raccolgono grandi quantità di pesci volanti, parlano
con Dio, lui non si stanca mai, mancava il campo, ecco in quattro e quattro otto fatto il campo, con spogliatoi, poi ha costruito una
chiesetta a somiglianza di quella della Madunnuzza del Ponte; San Pietro gli ha commissionato di costruire il Vaticano e Castel
Sant’Angelo lì tra le nuvole e lui ha detto si, tanto non si stanca mai! Una luce lattiginosa, priva di colore, statue immobili, al di là di quella soglia non ci si va, le nuvole diventano spoglie, nude, come un pavimento immenso e in questo pavimento ovattato arriva
rotolando un pallone, rimbalza con mistero, lo rincorre con uun balzo da pantera Franco, dai capelli ricci, dal collo alla Modigliani, alto come un guerriero acheo che torna con Ulisse dalla guerra di Troia.

Sono in tanti tra quelle nuvole che masticano calcio, spesso organizzano tornei, partite, la più bella è quella tra Ficarazzi Dream e Resto del Mondo. Tutti vogliono il numero 10, già preda del guerriero acheo che la soffia a don Josè Giovanni, anche lui fa magie con la palla, veroniche e sombreri, piedi buoni e cervello fino; Franco il “dottore” corre sempre, è il mediano dai cento polmoni; Giuseppe il portiere è un gatto volante; il giovane Vicè è un’ala dal movimento scomposto; Carlo ha una bomba nel suo piede quando tira; Pippino stoppa la palla con il sedere; tutti contro gente come Yascin, Garrincha, Re Cecconi, Deyna, Curi, Scirea, Frustalupi, Barison!
Dio che partita, così si gioca solo in Paradiso! E che arbitro, il nostro caro Totò “Sbardella”!. Totuccio corre con i suoi piedi a papera dietro ai campioni, suda, sbuffa, fischia, ride e sorride con la sua immancabile Super senza filtro in bocca. Drammi, amori, vendette, miseria, fame, povertà, ricchezza, siamo tutti spettatori, attimo dopo attimo di questo romanzo popolare che è la vita. Corriamo, non ci fermiamo mai ma dove vogliamo arrivare? Un nostro proverbio la dice giusta: –“… curri quantu vuoi ca ccà t’aspiattu…!”.

La palla nel sogno mi colpisce al volto, mi sveglio di soprassalto, sono tutto un bagno di sudore, la luce fuori continua a lampeggiare,
l’albero di Natale è sempre lì, è triste come me, le campane suonano a festa, il Bambino Gesù è nato ma io in questa notte magica ho rivisto un film, ho ricordato tutti quei volti, quelle persone che tutta Ficarazzi non ha mai dimenticato. E chiudo con una frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa del romanzo “Il Gattopardo”:-“…il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare…”. Buon Natale a tutti!

PS: Questo mio racconto breve è stato scritto il 22 dicembre del 2002 e ho voluto riproporlo perché nel rileggerlo ho notato che
ci sono molte analogie con i tempi che stiamo attraversando, poche cose sono cambiate, purtroppo…

Giuseppe Morreale



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