Sappiamo bene tutti che, ormai da qualche anno, le categorie del “politico” sono andate – come ha ben spiegato il sociologo torinese Marco Revelli – oltre il Novecento. Stiamo vivendo anni nei quali, di fatto – e con una spregiudicatezza che è sostanzialmente faccia tosta – viene quotidianamente rimesso in piedi un sistema di partecipazione alla vita politica come gioco esclusivamente lobbistico, di organigrammi prestabiliti, gioco in cui conta nulla la capacità del soggetto politico di farsi interprete, e interlocutore, dei concittadini
che lo devono eleggere.
Una storia di ricostituzione di privilegi e di caste biecamente perseguita (ben oltre la ribellione delle èlites come tradimento della democrazia). La piramide di Cheope volle essere ricostruita, schiavo per schiavo, masso per masso… aveva profeticamente intuito De
Andrè sul finire degli anni ’80. Tutta qui, in sostanza, la politica post-ideologica dell’ultimo ventennio italiano.
Mentre tutti (o no?) si è alla ricerca di nuovi modelli di vita pubblica – forse per ritrovare la politica perduta, forse per altro – se ne va,
in questa insolita estate del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, un uomo politico bagherese che al di là di qualsiasi giudizio nel
merito del suo percorso umano e politico specifico, è stato un esempio perfetto di un’Italia in cui ancora la classe dirigente era espressione, nel bene e nel male, delle categorie del “politico” (e non del marketing post-ideologico).
E’ morto, dopo una lunga malattia, Andrea Zangara. La notizia credo non abbia colto del tutto di sorpresa la cittadinanza, perché da mesi si era al corrente del progressivo peggioramento dello stato di salute del Senatore (così nella vulgata popolare era a tutti noto Andrea Zangara).
Il momento, però ci impone insieme al ricordo e al cordoglio, una riflessione minima: che inevitabilmente, dal particolare di Bagheria ci porta al generale di un Paese, in grave difficoltà politica. Andrea Zangara, ha cominciato a fare politica negli anni ’60, da operaio marmista, nelle fila delle organizzazioni giovanili della Democrazia Cristiana: da quel trampolino di lancio ne è seguito un cursus honorum che lo ha portato a ricoprire una teoria di cariche pubbliche elettive di rara completezza.
Consigliere comunale, Assessore comunale, Sindaco, Consigliere provinciale, Assessore provinciale, Senatore della Repubblica, Deputato regionale. Tutto questo partendo dalla condizione operaia: fatto che depone a favore della mobilità e della flessibilità ante-litteram della politica del Secolo Breve. Sarebbe possibile nell’Italia di oggi una tale scalata sociale? E’ possibile adesso pensare a itinerari politicoesistenziali così complessi soltanto a partire da se stessi e dalla propria capacità retorica e relazionale di avvalersi della forma\partito? Era veramente bella la politica nella prima età repubblicana dell’Italia unita o è soltanto nostalgia vintage? Ognuna della cariche istituzionali rivestite da Zangara è stata, comunque, il frutto di un patto con gli elettori; la conseguenza di una indubbia capacità – personale e di “partito” – di leggere le esigenze di un territorio, come anche di interpretare le “convenienze” di interi ceti (produttivi
e non ) e le aspettative di schiere di elettori pronti a valutare ricadute immediate, e di poco conto, piuttosto che vantaggi strategici.
Sia come sia, Andrea Zangara è stato il frutto esemplare di una stagione politica nella quale la democrazia è stata un insieme di
regole e procedure capace di determinare, con un reale “favore popolare”, i governanti destinati a prendere decisioni per l’intera
collettività. Un contenitore però privo in sé di contenuti, i quali vengono determinati dalle scelte dei governanti legittimamente eletti: questo, piaccia o non sentirselo dire, è la democrazia rappresentativa.
Questa è stata la democrazia, nel nostro paese. E adesso prostrati, da una ventennale democratura (definizione dello scrittore bosniaco P. Matvejevic) quella democrazia imperfetta e solo procedurale, i cui contenuti coincidono con la volontà e la capacità pragmatica degli eletti, ci manca in mille modi, così come ci mancherà la figura del Senatore Zangara. Del quale – come concittadino che non lo ha mai votato e che ha intrattenuto con lui più di un paio di conversazioni – mi piace ricordare una qualità che è propria dell’umana intelligenza come poche altre.
L’autoironia, la capacità di riconoscere i propri limiti e di testimoniarli al proprio interlocutore: cosa che fa della moderazione, prima che un ambito politico, un convincente paradigma di relazione con gli altri. Un paradigma senza stemmi e senza partiti.
Tratto dal Settimanale di Bagheria del 31 luglio del 2011
Maurizio Padovano
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