Dieci anni dopo la morte della madre, vissuta a Londra ma di origini palermitane, Milton Fingall Bennett decide di spostarsi a Palermo per onorarne la volontà di ricostruire la vita e le gesta di un suo antenato, tale Kenneth Collins, un inglese vissuto a Palermo alla fine del 1700.
A Palermo Milton ritrova un vecchio amico, Vito, che lo accompagna nelle sue ricerche inizialmente avare di informazioni concrete sulla figura dell’antenato e, contemporaneamente, durante un ricevimento tenuto nella “Villa Giulia”, si ritrova indirettamente coinvolto nell’omicidio di un politico locale, Diego Rao.
In seguito accadono altri delitti che Milton collega inevitabilmente alla sua ricerca tra gli antichi documenti conservati negli archivi che gli svelano le gesta segrete e misteriose del suo avo collegate agli interessi strategici degli Inglesi in Sicilia, tra spie, aristocratici corrotti e simboli da decifrare. In città conosce alcuni strani personaggi che, durante le conversazioni, casualmente o volutamente, gli svelano i vari misteri esoterici che hanno caratterizzato la vita palermitana di quegli anni di fine ‘700 ma nello stesso tempo capisce di essere seguito nei suoi movimenti e teme per la sua incolumità.
Cosa mi ha colpito o emozionato particolarmente
Una storia articolata e ricca di mistero arricchita dalla descrizione dei simboli esoterici presenti nel giardino della “Villa Giulia” e dal racconto delle attività segrete di alcune compagnie religiose, in particolare La Compagnia dei Bianchi, che si svilupparono a Palermo nel ‘700 dopo la fine dell’Inquisizione. L’autore, a seguito di una ricca e attenta ricerca tra gli antichi testi redatti da importanti storici del passato e custoditi nelle biblioteche palermitane, tiene in apprensione il lettore con una prosa fluida ed avvolgente per tutto lo svolgersi degli eventi fino al sorprendente epilogo della storia.
Alcune citazioni dal libro
“Risparmi la vita a una mosca, la risparmi a ogni altro essere vivente. Mia madre. La sua voce mi colse così, quando ero bambino, e giocavo con le cavallette della brughiera, e le ammazzavo. Mia madre che mi rimproverava coi suoi moniti severi, incitandomi al rispetto della vita di tutti gli esseri viventi. Mia madre che la vita perse prematuramente, e che prima di morire mi lasciò in consegna quel viaggio a Palermo. Un viaggio in cui, era evidente, qualcuno mi accerchiava, mi seguiva, mi stava col fiato sul collo. Qualcuno che nel frattempo uccideva e che probabilmente intendeva uccidere anche me.”
“Era chiaro che mille immagini mi passavano davanti, velocissime, in dissolvenza, fotogrammi alla cui fine trovavo sempre lui, Kenneth Collins. Insieme a Diego Rao. Non ne vedevo nitida la ragione, ma sapevo che era così. C’era un quadro che ribolliva di colori, di sfaccettature. Che ribolliva di sangue.”
“Stetti ore ad osservare quei fogli, fogli che nel frattempo erano divenuti pesantissimi. Li posavo sul tavolo, li riprendevo, li rileggevo da capo, ne scordavo il contenuto, tornavo sui paragrafi. Non avevo forze. Ero stanchissimo. Mi estraniai da me stesso. Quelle poche certezze che avevo su di me vacillarono. Non mi riconobbi più.”
“Tutta Palermo è un colabrodo. I suoi sotterranei sono pieni di vuoto. Tutti i palazzi sono, o erano, vasi comunicanti. Non c’è chiesa che non comunichi con chiesa. Un tempo tagliavi la città da est a ovest senza passare in superficie.”
“Il mio trisavolo fu un malfattore, un profittatore, un infiltrato, un malandrino, un assassino, un individuo di cui mi vergognavo profondamente ma che certamente fu protagonista del suo tempo, un uomo mosso da altri uomini e che a propria volta muoveva altri uomini.”
A chi lo consiglierei
A tutti gli amanti del giallo e del mistero che amano immergersi nella cultura sociale e politico religiosa della Palermo di fine ‘700 dominata dai Borbone ma controllata da altre organizzazioni.
Autore: Maurizio Zacco per Comunità Narranti Palermo
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