La guerra fa schifo sempre, non ci sono “se” e non ci sono “ma”.

L’immagine di Elton John, sospirante aneliti romantici per una androgina modella abbigliata da militare della dogana russa, che cozzava violentemente con l’appello di Sting alla responsabilità dei russi nei confronti dell’amore per i propri figli, sono posizioni e visioni delle genti oltrecortina, tornate prepotentemente di moda.

Il termine stesso “oltrecortina” era da ritenersi profondamente superato dal 1989, con il crollo del muro di Berlino, e l’opera del presidente russo Gorbaciov. Già… gli anni ‘80, gli anni dell’edonismo reganiano, un autocompiacimento del se, che si rifletteva in tutte le manifestazioni culturali, dalla musica, alla moda (con fenomeni addirittura iconici e imperituri), alla letteratura, indissolubilmente legata alla “insostenibile leggerezza dell’essere” kunderiana. Ma anche gli anni di un inasprimento della guerra fredda, che poteva risolversi solo in due modi, la capitolazione di una delle due parti o una guerra nucleare, la terza guerra mondiale.

Se la nostalgia degli anni ‘80 attanaglia molti di noi, che ancora ascoltano le musicassette con le “compilation” che si usavano in quegli anni, di certe cose potevamo certamente fare a meno. Le vicende terribili della invasione russa dell’Ucraina, di romantici ritorni al passato,non hanno proprio nulla. La guerra fa schifo sempre, non ci sono “se” e non ci sono “ma”.

Putin oggi è molto più occidentale nei moti e nelle manifestazioni, di un qualunque presidente europeo, e gli interessi che lo muovono sono gli stessi che muoverebbero o muovono Biden o chiunque altro. Definirlo dittatore è una valutazione che non possiamo permetterci, a fronte di certi capi di stato che gravitano nella enclave europea. L’alleanza atlantica, la NATO aveva un senso in contrapposizione al Patto di Varsavia, ma oggi che senso ha? Cosa ci manca, nella comprensione degli eventi? E a cosa serve comprenderli? Serve forse a capire, che seppur le teorie del complotto lasciano il tempo che trovano, certi eventi sembrano veramente inseriti in contesti che appaiono figli di nessi causali e non nessi casuali.

Manca la capacità di visone globale, manca la capacità di discernere le migliaia di informazioni che arrivano. La guerra fredda degli anni ‘80, le campagne in oriente degli anni ‘90, la situazione dei Balcani e la frammentazione della Jugoslavia, accadevano senza l’amplificazione dei social. Oggi i social hanno anche il difetto di non dare un quadro chiaro, seppure più eterogeneo, degli eventi.

Qualunque possano essere le valutazioni, resta terribile l’idea di dovere fornire armi e munizioni ad una delle parti, e contemporaneamente chiedere il cessate il fuoco. O ancora che le federazioni sportive, spinte da mere valutazioni economiche, abbiano tardato a prendere una posizione ultimativa. Che valore ha di fronte alle bombe l’espressione di solidarietà? Che valore diamo noi a questa espressione. Anche nella nostra realtà cittadina, cosa siamo stati capaci di esprimere? Una realtà, quella di Bagheria, in cui l’assenza nell’affrontare le tematiche sociali è stata, fino ad oggi, il filo conduttore di questa amministrazione. Ancora oggi ragazzi disabili non godono di servizi sacrosanti, il disagio giovanile esplode in fenomeni come alcolismo e consumo di stupefacenti, nella totale indifferenza delle istituzioni.

Sentiamo tanto lontani i venti di guerra che bastano due rettangoli giallo e azzurro e la scritta “no war” e pensare che sia sufficiente. O ancora aprire una seduta di consiglio con un pensiero rivolto agli eventi bellici. Questa indifferenza, questa sufficienza, questa mancanza di empatia, genera poi discriminazioni, oggi possono apparire solo generazionali, domani saranno anacronisticamente di classe, e presto torneranno ad essere tra etnie o famiglie altre, dove “altro” è tutto ciò che alieno da noi.

A questo punto può questo occidente, ricco di realtà poco empatiche e solidali al loro stesso interno, cominciare a ritenere non necessario pensarsi come blocco unico, difensore delle verità assolute? La pandemia davvero non ha insegnato niente? Ritornare a sperare retoricamente che i Russi amino i loro bambini come li amiamo noi “occidentali”, è un salto nel passato che poteva essere evitato se tutte le vestigia di quel passato fossero rimaste chiuse nei cassetti della memoria degli adolescenti di quegli anni, insieme ai poster di Sting, dei Duran Duran e di Patsy Kensit.

Ignazio Soresi



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