Da oltre 40 anni direttore di palcoscenico nei più importanti eventi realizzati dalla Rai. Ma quando si pronuncia il suo nome, il pensiero va principalmente allo show italiano per definizione: il Festival di Sanremo. Stiamo parlando di Pippo Balistreri, il nostro concittadino di Aspra che con la sua professionalità forgiata in anni di esperienza e competenza, solca i grandi eventi italiani fin dal 1981. Una carriera immensa che anche quest’anno procede a gonfie vele.
Balistreri ha retto le redini della direzione di palco del festival musicale più importante d’Italia (e ormai seguito nel mondo) anche questo febbraio: il Sanremo dell’incontro generazionale – hanno detto alcuni –, il festival che più di prima ha fatto convivere vecchio e nuovo in un equilibrio impeccabile.
Non solo sul palco ma, per certi aspetti, pure nella classifica finale. Abbiamo assistito anche stavolta allo show di altissimo livello a cui in tutti questi anni ci siamo abituati. Se questo è stato e continua ad essere possibile, è anche e soprattutto merito di Pippo Balistreri che, come il direttore d’orchestra guida i maestri verso una destinazione musicale armonica e concorde, con la sua metaforica “bacchetta” dirige il necessario affinché tutto funzioni per il meglio, coordinando la scena e coloro che devono riempirla, “orchestrando” cambi e ritmi, garantendo una perfetta sintonia tra i tempi dello spettacolo e quelli vertiginosi della televisione.
E in tutti questi anni di lavoro dietro a un impero di luci, schermi e scenografie, Balistreri è diventato ormai un vero e proprio patrimonio di aneddoti e curiosità. Storie che in gran parte sono già state raccontate – di recente sono state rispolverate da alcuni giornali online – e pertanto sono conosciute dai più. Dall’ansia da palcoscenico che paralizzò Loretta Goggi, all’inaspettata richiesta di sostituzione di ventidue membri dell’orchestra da parte di un Celentano ospite del Festival.
Passando naturalmente dal drammatico episodio di Pino Pagano, l’uomo che minacciò di suicidarsi in diretta gettandosi da una balconata dell’Ariston. Una circostanza che costò a Balistreri – come lui stesso ha più volte raccontato – 500 mila lire che non ebbe più indietro. Insomma, Balistreri oltre a essere un grande professionista, porta nella memoria i segni del mondo complesso e affascinante in cui è inserito. Abbiamo avuto modo di incontrarlo per una breve chiacchierata
di pochi minuti e poche parole che riportiamo di seguito:
Balistreri, la sua carriera da uomo di spettacolo non ha inizio come direttore di palco. Sappiamo di un passato da disc jockey.
“Sì, sono stato un dj e inoltre sono l’unico tra i disk jockey italiani ad aver vinto il Disco D’Oro. Un’esperienza che risale al 1979, quando fu fatta a Parma una rassegna dei 1200 dj italiani più importanti. Io partecipai e arrivai primo.”
Com’è avvenuto il passaggio dal palco al dietro le quinte?
Dopo la vittoria del Disco D’oro, Renzo Arbore e Gianni Naso (che era il direttore dell’Associazione Italiana dei disk jockey), mi hanno chiamato come consulente per alcuni loro programmi. Poco dopo mi hanno presentato a Gianni Ravera, l’organizzatore del Festival di Sanremo nel 1981. È proprio in quel periodo che nasco come direttore di palcoscenico. Gianni Ravera mi aveva chiesto di consigliargli degli ospiti di peso. Nomi importanti, insomma, che in quel momento andavano forte in Italia e nel mondo. Io gli ho fatto alcune proposte, tra cui i Dire Straits, la famosa band che effettivamente si presentò. E siccome nessuno era in grado di parlargli, poiché all’epoca non tutti conoscevano l’inglese, fui io a occuparmi di fare le prove con loro. Da allora sono rimasto in questo mondo.”
A proposito del Festival di Sanremo, 40 anni di lavoro sono molti. Avrà sicuramente assistito a dei mutamenti, in meglio o in peggio, dal punto di vista tecnico.
“Sicuramente il lavoro si è andato semplificando. Resta pur sempre un mondo molto arduo ma basti pensare all’evidente trasformazione del festival in questi anni: le prime edizioni erano dal vivo su base e, qualche volta, direttamente in playback. Ora abbiamo l’orchestra, tutto è dal vivo. E quando si ha a che fare con esibizioni dal vivo la situazione è più delicata. Anche quest’ultimo Festival è stato molto complesso, specialmente nella serata delle cover. Perché ogni cantante doveva esibirsi con un ospite e, inoltre, con una canzone diversa da quella in gara.
Facciamo questo lavoro da tanti anni, d’accordo. Ma è pur sempre qualcosa che si fa totalmente dal vivo e che si interseca coi tempi televisivi. In questi casi, come si suol dire, lo sbaglio è dietro la porta. Però è andato tutto bene.”
In tutti questi anni c’è stato qualche artista o un episodio che ha lasciato un segno particolare?
“Ci sono tantissimi episodi, e molti li ho raccontati più volte. In riferimento agli ultimi Festival mi viene subito in mente Fiorello. È una persona che scherza e a volte non si riesce a distinguere quando parla sul serio, spesso alle prove – seppur in modo goliardico – ci mette in difficoltà. Ma durante le serate, anche se non perde mai la sua indole scherzosa, dimostra sempre di essere un grande e affidabile professionista.”
Adesso a cosa sta lavorando?
“Sono stato chiamato per l’Eurovision Contest che si farà a Torino nel mese di maggio. Avevo già lavorato a quello del ’90 – allora vinse Cutugno – ma non era l’Eurovision di oggi. Oggi, come si diceva poco fa, tecnicamente è tutta un’altra cosa. L’Eurovision è una sfida ardua, uno degli eventi sicuramente più impegnativi da gestire ma lavoreremo come sempre al massimo per offrire uno spettacolo di alta qualità.”
Gioacchino D’Amico
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