Non è soltanto di sentenze storiche e di giuste condanne che si compone la lotta contro la mafia. I percorsi di legalità, quelli solidi e consapevoli, passano anche attraverso pratiche che durano nel tempo e che tramandano i valori di un’onestà capace di prevalere sulla violenza e sulle atrocità del crimine organizzato.
In questo, la riqualificazione dei beni confiscati alla mafia svolge un ruolo di fondamentale importanza. Non si tratta soltanto di creare nuovi locali utili alla collettività, vantaggio che resta pur sempre irrinunciabile. Si tratta, più precisamente, del consolidarsi di una giustizia che vince sulla prepotenza, di un trionfo della legge che si concretizza nell’ingresso della cittadinanza in quegli spazi un tempo teatro di crimini e ingiustizie.
Per questo restituire alla comunità i beni confiscati, riconvertiti in ragione di un’utilità sociale o istituzionale, rappresenta un obiettivo imprescindibile. Tuttavia, da un punto di vista operativo, i numeri della riqualificazione e del riutilizzo di questi beni non sembrano all’altezza delle aspettative. Circa la metà dei beni confiscati sarebbe ancora inutilizzata, secondo l’inchiesta svolta dalla Commissione Parlamentare Antimafia.
Interrogazione dell’on. Licatini ai Ministeri di Interno ed Economia
Un esito che, inoltre, si mescola con un impedimento statistico preoccupante. E cioè che, attualmente, non sarebbe possibile risalire in modo assoluto a una composizione certa dei dati che riguardano il riutilizzo dei beni confiscati, a causa della materiale carenza di informazioni. Un intoppo, quest’ultimo, che forse si collega a quanto emerso dal report effettuato da “Libera” sullo stato della trasparenza nelle amministrazioni locali: l’indagine condotta su oltre 1000 comuni, rivela che circa il 60% di queste amministrazioni non pubblica sul proprio sito né gli elenchi né le informazioni relative ai beni immobili confiscati.
Un quadro nel complesso sconfortante, in cui una posizione di maggiore difficoltà è occupata proprio dalla Sicilia, dove si trovano circa il 40% di tutti i beni confiscati e dove, secondo un rapporto della Regione, più del 50% è ancora inutilizzato. È con l’obiettivo di incoraggiare e migliorare il sistema di riqualificazione e riutilizzo di questi beni, che la parlamentare bagherese Caterina Licatini ha presentato un’apposita interrogazione ai Ministeri della Economia e dell’Interno (nella cui struttura rientra anche l’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati, ndr).
Iniziativa che, tra l’altro, cade nell’anno del quarantesimo anniversario della legge Rognoni – La Torre che ha introdotto il reato di associazione di tipo mafioso e la confisca dei beni di provenienza illecita. “Per la riqualificazione dei beni confiscati alla mafia non si sta facendo abbastanza” afferma Licatini, “circa la metà è ancora inutilizzata e le amministrazioni locali spesso peccano di un’inerzia che rischia di provocarne l’abbandono. Bisogna darsi una mossa.”
Prosegue: “In questi anni ho sempre incoraggiato la valorizzazione dei beni confiscati. Il primissimo esempio è quello del trasferimento del consultorio familiare di Bagheria, per il quale dopo tanta fatica stiamo ottenendo ciò che chiedevamo. Nell’interrogazione, inoltre, menziono specificamente il bene appartenuto al boss Giuseppe Greco sul litorale Mongerbino, ancora da riqualificare.”
Poi spiega: “Con questa interrogazione si sottopone ai Ministeri la possibilità di un censimento di tutti i beni confiscati tramite strumenti e piattaforme che consentano un maggiore coinvolgimento degli enti gestori soprattutto territoriali, nonché il monitoraggio del sistema di assegnazione per scopi sociali. Le risorse di certo non mancano. Proprio per la valorizzazione dei beni confiscati parliamo di 300 milioni di euro del PNRR, oltreché delle risorse del Fondo Unico Giustizia. La lotta alla mafia non può essere lasciata a metà. Bisogna promuovere cultura, progresso e crescita nei luoghi che un tempo erano in mano al crimine organizzato.”
Gioacchino D’Amico
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