Nel recensire il volume Il direttore d’orchestra (Thule Editore, 2021) si è subito attratti dalla elegante veste tipografica, dalle spesse pagine patinate che impreziosiscono la generosa rassegna di riproduzioni di opere del maestro Dispenza. Si tratta di un incontro oltremodo piacevole per il lettore, e soprattutto per un lettore – come chi scrive – che, lungi dall’essere un critico musicale o d’arte, è particolarmente sensibile sia all’espressione musicale che a quella artistica.
Ampio spazio assume nel volume la rievocazione di esecuzioni, sia del repertorio classico e operistico, sia di generi diversi, dal tango ad altri ritmi “moderni” – per usare un aggettivo presente in diversi titoli di Dispenza. Al contempo il pittore si sofferma a tratteggiare, con tocchi rapidi ma pregnanti, figure di famosi compositori, come è spesso intuibile dalla familiarità con la ritrattistica in materia (giusto per citare, abbiamo così Verdi, Mahler, Stravinsky, Schönberg), concertisti (per esempio Rostropovisch), cantanti.
Altrettanta attenzione viene rivolta da Dispenza alla danza (classica e moderna) e agli strumenti musicali. Della prima il pittore coglie il dinamismo dei corpi coinvolti, la lora grazia ma anche la loro passione, che permette – come è stato detto – quella fusione di fisicità e spiritualità. Quanto agli strumenti, essi sono visti a volte attraverso uno sguardo che li investe quasi di una soggettività che, in certa misura, li umanizza, o per lo meno li avvicina in maniera
simbiotica alla figura dell’esecutore o esecutrice.
C’è grande perizia nell’arte di Dispenza ma anche l’esigenza di pervenire a un avvicinamento, quanto mai agognato nello sviluppo del pensiero estetico e nella pratica artistica, tra le diverse arti – ed è quanto opportunamente suggerisce Tommaso Romano nella postfazione al libro. Questo tentativo di avvicinamento, se non proprio di unificazione, è a mio avviso, testimoniato dall’impiego da parte del pittore di tecniche – prima fra tutte l’acquerello – che, nella loro rapidità di esecuzione, aspirano a cogliere la fluidità del dipanarsi nell’arco temporale della forma musicale.
Particolarmente efficaci sono i ritratti. Qui il pittore scava tra le pieghe dei volti, coglie la profondità degli sguardi, scruta nelle posture e nella tensione dei muscoli, quasi a rivelare il segreto e il fuoco creativo che animava o anima quei grandi costruttori di architetture sonore. Non si può dunque che essere grati al curatore del volume, Vito Mauro, per aver realizzato questo bel florilegio di immagini d’artista, ma anche per aver riunito quei testi critici o quelle rapsodiche notazioni o creazioni in versi che dialogano – ognuna a suo modo e secondo la sensibilità e la ‘strumentazione’ di ciascun autore o autrice – con le opere visive di un artista che merita, indubbiamente, di essere conosciuto e giustamente apprezzato.
Certamente utile, infine, la traduzione dei testi in lingua inglese rivolta ai lettori non italofoni.
Mario Inglese , PhD
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