Quando il disagio diventa insuperabile e senti che il mondo non ti accoglie più. Bagheria e tutte le piazze di ogni città possono essere Colleferro.
La notizia di cronaca è nuda e cruda, con pochi particolari e senza immagini specifiche che pure sarebbe stato facile avere: domenica per buona parte della mattina e fino al primo pomeriggio, una giovane è rimasta sdraiata a terra a pancia sotto, sul marciapiede giusto nella parte opposta al Punto di Emergenza Territoriale, nella quasi totale indifferenza. La giovane era cosciente, non molto in se, forse, ma cosciente.
Non sappiamo a che ora sia andata via, se i sanitari nel presidio limitrofo se ne siano presi cura, se qualche familiare l’abbia poi raggiunta… ci hanno segnalato e testimoniato questa presenza.
Distesa come quando ti butti a piangere sul letto a ripetere un lamentoso no a chiunque l’approcciasse per darle aiuto. Lo specchio di un disagio che non può più passare inosservato a Bagheria come in qualunque altra città. Ragazzi, cosiddetti “sani” persi nei meandri di una mente che esplode, o implode al cospetto di una realtà insopportabile.
Mentre possiamo immaginare solo vagamente il disagio di chi si affida all’unica terra che la rappresenta, quella fatta di cemento, in un gesto di abbandono che ci ricorda quello degli animali morenti, viene in mente, nei giorni della sentenza per l’omicidio di Willy Monteiro a Colleferro, quel marciapiede dove il giovane è stato immolato, sacrificato sull’altare di una società che non sa più come curare i suoi figli.
E suoi figli sono pure i quattro condannati oggi ad una pena esemplare. Loro che rappresentano,rispetto la vittima, anche iconograficamente, il carnefice perfetto. Troppo retorico definirli vittime a loro volta, Giuda designati al tradimento di ogni umano valore, ma non per questo meno colpevoli.
Eppure, la sentenza assolve troppo presto e troppo opportunamente, dalle responsabilità tutto il contorno e proprio per questo ha avuto un coro trasversale di soddisfazione.
Il “laissez faire “ che sembra parola d’ordine delle istituzioni, l’indifferenza della politica quella dei massimi sistemi, che cerca soluzioni “mediatiche” al femminicidio e che sempre mediaticamente lotta per i diritti civili di chi è discriminato per le scelte di genere ( o le non scelte), la stessa politica che non ha il coraggio di intervenire sistematicamente sui mercati che girano intorno al disagio giovanile, alcool in testa, tanto, tanto, tanto sottovalutato. I nostri figli avvelenati, vittime sui marciapiedi, carnefici per le strade, sono un prezzo che l’ergastolo ai fratelli Bianchi, e le pene esemplari per Belleggia e Pincarelli, non pagano affatto. La necessità di tenere in piedi certe economie illecite e non riconoscere che altre lo sono tanto quanto, è più importante della salute mentale e anche “sociale” dei nostri figli.
Questa sentenza così dura, non insegnerà nulla ai condannati, che non si renderanno MAI conto di cosa rappresentano, non insegna nulla agli altri ragazzi che coltivano e continueranno a coltivare gli stessi “valori”, e come già detto non insegna nulla a noi cittadini, genitori, spettatori e attori di queste strade che non hanno più bivi o crocevia, o direzioni da scegliere, ma diventano circoli danteschi in cui o sfoghi tutto il represso o ti abbandoni al loro abbraccio freddo e per niente consolatorio.
Questa sentenza ha il merito di rassicurare le nostre coscienze, in questo caso sempre e comunque colpevoli (quanto meno di mancato impegno), individuare quattro alieni ( nel senso antropologico di “altri” avulsi da noi) e farci sentire più sicuri.
C’è poco da stare sicuri perché dietro ogni sera di “malamovida” anche qui a Bagheria, ci sono gli stessi (dis)valori, gli stessi disagi, sperando di non dovere riconoscere mai su quei marciapiedi vittime o carnefici niente affatto lontani da noi. Di non dovere vedere qualcuno dei nostri figli abbracciare il pavé come unico posto rimasto riconoscibile di una vita che deraglia da binari che noi adulti abbiamo costruito per loro.
Ignazio Soresi
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