Sedere a capotavola o ai posti di rilievo durante i banchetti o alle feste di lieta circostanza è stato sempre riservato alle persone più facoltose, autorevoli o di elevato rango sociale. Avviene ai nostri giorni e avveniva anche all’epoca di Gesù, dove a disciplinare la posizione di ogni commensale era il maestro di tavola: qualora per ambizione una persona qualsiasi sedeva dove era riservato a un “grande” o a una persona di riguardo, questi interveniva e lo invitava a collocarsi un po’ più in là, ad occupare un posto meno altolocato è più dimesso.
Proprio per questo Gesù approfitta dell’occasione per impartire una lezione di umiltà, peraltro legata al buonsenso: se per vanagloria o per arrivismo ai banchetti ci si vuole sedere ai posti migliori, può sempre avvenire che il maestro di tavola ti inviti a spostarti, anche spingendoti verso gli ultimi posti in fondo alla fila. Al contrario, se di tua iniziativa andrai a sederti all’ultimo posto, nella zona della tavola riservata ai “plebei” o ai nullatenenti, può sempre capitare che il direttore del banchetto ti inviti a passare avanti e a guadagnare una posizione migliore. Gesù categoricamente invita quindi a scegliere “gli ultimi posti” nella vita e nella società.
Come ai banchetti, così anche nella vita. Gesù non soltanto indica che l’umiltà è la via migliore, ma che essa è la sola che può conseguirci vantaggi inaspettati. Quando ci si insuperbisce, vantando di avere il coltello dalla parte del manico o di poter predominare sulla massa; quando con ambizione si aspiri alle posizioni di dominio o di rilevanza sugli altri e tutte le volte che ci si affidi alla propria, presunta, onnipotenza, ebbene improvvisamente potrà sempre capitare che qualche altra persona o qualche evento imbarazzante ti faccia capitolare rovinosamente dove mai ti saresti aspettato. “Sic transeat gloria mundi” è l’assioma dei nostri antenati, avallato dall’esperienza.
“Ricordatevi che torneremo zucche” esclamava David Sassoli ai colleghi fu eletto presidente del parlamento europeo; la gloria infatti non è destinata a durare a lungo e per quanto vogliamo librarci verso l’alto capiterà prima o poi che precipitiamo a terra. Chiunque ambisca spropositatamente al successo, alla gloria e al guadagno facile prima o poi farà esperienza della vanità di determinate aspirazioni e solo chi ha fatto esperienza sulla propria pelle è in grado di veicolare ad altri quanto sia demoralizzante e umiliante dover passare repentinamente da una posizione di comando a un’altra di assoluta sottomissione. Senza con questo necessariamente sminuirci o sottovalutarci, occorre che evitiamo un concetto troppo elevato di noi stessi, per non avere la tentazione di mirare alle cose abnormi e ai grandi obiettivi e per scongiurare il pericolo di ambizioni inopportune che spesso si rivelano inani e inconcludenti (Cfr Rm 12, 16).
L’umiltà, la docilità e la deferenza sono invece espedienti virtuosi adeguati a garantirsi dalle delusioni suddette e dai fallimenti, oltre che per essere graditi a Dio. Essi anzi sortiscono l’effetto, forse non immediato, del vero successo e della reale realizzazione, poiché proprio chi non si aspetta di essere esaltato verrà prima o poi elevato fino alle vette più alte della vita professionale e della carriera. E’ a partire dall’umiltà che si pongono tutte quelle condizioni per cui in noi possano fiorire le altre virtù fondamentali di fede, di speranza e di carità: essere umili comporta maggiore disposizione all’ascolto, all’attenzione e alla considerazione di ciò che realmente è vantaggioso; l’umiltà ci dispone al discernimento obiettivo, alla coerenza, all’apertura di spirito e a tutto ciò che è utile al rinnovamento del mondo a partire da noi stessi. Proprio perché l’umiltà dischiude a tutte le altre prerogative di perfezione, chi la esercita non mancherà di ottenere riscontro e considerazione da parte di chi sta “in alto”. Gabriel Marcel dice con ragione che “l’umiltà è l’anticamera delle perfezioni.” Aggiungiamo pure che è l’anticamera di ogni successo e di ogni guadagno.
Prima o poi i frutti della nostra discrezione e della nostra semplicità verranno notati e seppure tardivi otterranno molti più vantaggi rispetto alle fallacie della superbia e dell’arrivismo, le quali prima o poi conducono sempre al fallimento e alla capitolazione. Lavorare nel silenzio e adoperarsi senza ottenere immediatamente il plauso degli uomini è sempre vantaggioso, sia perché la medesima tale operosità è sempre la più appagante e foriera di risultati qualitativi per tutti, sia perché in un modo o nell’altro l’atteggiamento umile e dimesso verrà certo notato e ricompensato, anche se non nei tempi che comunemente ci aspettiamo.
padre Gian Franco Scarpitta
XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/08/2022)
Vangelo: Lc 14,1.7-14
Rubrica a cura di Giuseppe Fumia
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