Le ultime domeniche dell’anno liturgico ci invitano a considerare il futuro, le “realtà ultime” del mondo nel suo insieme, e di ciascun uomo in particolare. E’ un invito a regolare il presente in base all’esito che l‘oggi produrrà in forma definitiva nel mondo venturo.
Con l’episodio narrato dal vangelo odierno (Luca 20,27-38), il rapporto tra presente e futuro tocca un tema di forte impatto nella vita di tutti. Gli avversari di Gesù, in questo caso i sadducèi che non credevano nella vita eterna, tentano di mostrare l’inconsistenza del suo insegnamento in proposito, presentandogli un caso-limite, verosimilmente inventato. “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
In verità, per presentare lo pseudo-problema non occorreva fare ricorso alla legge mosaica detta del levirato (a un uomo era imposto di dare discendenti al fratello defunto, sposandone la vedova): qualunque vedova che si rimariti, di quale di essi sarà moglie nell’aldilà? Né occorre precisare che la stessa domanda vale per un uomo, che in questa vita abbia contratto più di un matrimonio. Nella vita eterna, risponde Gesù, non ha più senso parlare di moglie e marito; chi raggiunge la perfezione dell’esistenza, la vive da figlio di Dio: vive cioè l’amore per Lui e per i fratelli, senza i limiti e i condizionamenti derivanti dall’avere un corpo. Non ci sarà più bisogno di dare dimostrazioni dell’amore al prossimo, né dando un pane a chi ha fame, né passando le notti al capezzale del malato, e neppure – per venire al caso in questione – attraverso l’esercizio della sessualità.
Molti pongono l’amore al centro della propria vita, intendendo però per amore l’appagamento degli istinti sessuali. Ma una tale concezione riduce il partner a uno strumento, a una “cosa” di cui servirsi. In altre parole, spesso si dà il nome di amore a quello che in realtà è una manifestazione di egoismo. Sta qui la causa, a ben guardare, del fallimento di molti matrimoni: se si concepisce il coniuge semplicemente come la persona in grado di soddisfare i propri istinti sessuali, si capisce perché, quando il coniuge non può più farlo, o si incontra chi si ritiene lo possa fare meglio, lo si accantona. L’amore invece, nell’ottica evangelica, è l’opposto: è il dono di sé, la ricerca del bene dell’altro, che nel matrimonio si esprime in grado eminente anche attraverso il rapporto sessuale. Questo vale appieno nella vita presente, quando i moti dell’anima si manifestano necessariamente attraverso il corpo; nella vita eterna, pienezza della comunione con Dio che è Amore infinito e perfetto, l’amore umano sussiste e si perfeziona, liberandosi dai limiti terreni del tempo, dello spazio, della fisicità.
”Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito”, risponde Gesù ai sadducei. Il che non significa ignorare chi si è amato: l’amore continuerà, ma, poiché saremo immersi nell’amore di Dio, tra noi ci si amerà in altro modo, più perfetto e completo, senza aver bisogno di manifestarlo fisicamente.
Le parole di Gesù non sminuiscono il significato dell’amore fisico: anzi, ne sottintendono il valore autentico. Esso trova il suo senso e la sua bellezza nel matrimonio, nell’ambito del quale vive una perfetta espressione. Nel matrimonio, l’amore non è il fine ma un mezzo: il mezzo dato a un uomo e una donna di manifestarsi reciprocamente il dono di sé.
A cura di Giuseppe Fumia
XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/11/2022)Vangelo: Lc 20,27-38
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