“Le parole che scompaiono” di Giovanni Dino

“Il contadino che parla il mio dialetto è padrone di tutta la mia realtà”.  

  Così scriveva Pier Paolo Pasolini. Ed è proprio il dialetto, “l’anima di un popolo”, il protagonista di ”Le parole che scompaiono” di Giovanni Dino, opera meritoria, nata dall’amore dell’autore per le tradizioni e il folklore del passato e per l’idioma del paese natio, Villabate, in provincia di Palermo. E’ un dizionario di termini dialettali ancora in uso e di termini scomparsi o che tendono a scomparire, fenomeno questo, purtroppo, comune a molte altre realtà paesane, soprattutto a quelle vicine ai grossi centri.

  La società odierna, tutta proiettata verso il futuro, sembra non attribuire il giusto valore al linguaggio popolare, considerato ormai desueto e arcaico, un idioma rozzo, parlato da persone poco istruite, e che anche gli “allittrati”, come scrive il prof. Eugenio Giannone nella Premessa, tendono a dimenticare, con il rischio di perdere nel tempo la diversità delle parlate locali che va difesa e preservata. L’autore, con un lungo, paziente e prezioso lavoro di ricerca, ha raccolto espressioni e locuzioni del vernacolo villabatese, la cui efficacia e forza espressiva difficilmente si potrebbero ottenere se tradotti nella lingua nazionale, eredità e testimonianza di una civiltà ricca di valori e di saggezza, per molti aspetti diversa da quella attuale, globalizzata e tecnologica. Il dialetto costituisce l’identità culturale di un popolo, è la “lingua naturale”, che ognuno impara da solo, come sosteneva Dante, è parte del vissuto di tutta una comunità che in esso si riconosce e per esso si contraddistingue, è un bagaglio in nostro possesso che ci colloca in un tempo e in uno spazio ben definiti. Conoscere i termini dialettali e mantenerne vivo l’uso significa tutelare con fermezza il patrimonio linguistico di “un meraviglioso mondo che è esistito”. Cosi dice Dino: “Mio scopo è lasciare un documento che testimoni una civiltà che ho vissuto, praticato e che ho visto anche scomparire”. L’opera, di notevole valore antropologico e che s’impreziosisce d’una Prefazione della compianta Annamaria Amitrano e di una Nota conclusiva di Tommaso Romano, è un invito rivolto alle nuove generazioni a riappropriarsi della propria identità culturale e a non dimenticare il passato perché è solo attingendo da esso che si comprende il presente e sicostruisce il futuro.                                                         

Antonella Giambrone

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