Gesù non aveva casa, né cattedra. Qualsiasi luogo era buono per predicare perché tutti dovevano udire la Parola.
Marco racconta di un sabato nella sinagoga di Cafarnao. Gesù entra nella sinagoga e si mette ad insegnare. Non partecipa al culto ma prende lui l’iniziativa e le persone sono colpite dal suo modo di insegnare: «Non come gli scribi ma come uno che ha autorità». Gli scribi non lasciavano nessun segno, non entravano nel cuore, perché il loro sapere era solo un sapere nozionistico. Il termine “autorità” ha la radice nel verbo augeo (“accrescere, aumentare”). Ha autorità chi permette di accrescere, chi prende per mano e mostra prospettive che hanno il sapore d’infinito.
Scriba, in ebraico, è il “predicatore della Torah”. A quarant’anni, dopo un lungo periodo di studio, riceveva, con l’ordinazione, lo spirito di Mosè. La sua autorità era più grande di quella del sommo sacerdote ed era l’unico autorizzato all’interpretazione del testo sacro. Proprio a loro Gesù dirà: «insegnano dottrine che sono precetti di uomini», spacciando per “leggi di Dio”, norme e regole prodotte da loro.
Le persone, però, sentono che le parole di Gesù sono cariche di umanità, parlano al cuore dell’uomo. Le sue parole erano abitate dalla sua vita. Amico lettore, la tua parola sarà autorevole non perché sarai un buon esempio ma perché, al di là della fatica che farai a mettere in pratica quello che dirai, non indietreggerai nel credere davvero a quello dirai.
Le prediche, le “lezioni” di catechismo, molto spesso non dicono cose sbagliate, ma la nostra parola sembra essere come quella degli scribi, senza autorità. Forse perché come cristiani diamo informazioni corrette ma la nostra vita non sembra esserne un riflesso. La nostra parola sarà autorevole quando crederemo davvero a quello che stiamo dicendo. Autorità non è dispotismo e quando viene a mancare l’autorevolezza resta solo autoritarismo, quando non si è credibili si puo’ essere ascoltati solo per coercizione.
Sinagoga
Colpisce che questa scena avvenga nella sinagoga! Marco ci sta dicendo che la prima liberazione, avviene dentro la comunità, dentro la Parrocchia, nel luogo della preghiera e dell’incontro. Siamo invitati cioè a partire da “dentro”, da quell’impasto di santità e peccato, di slanci e fatiche, che sono le nostre comunità.
Prima di puntare il dito fuori, siamo interpellati a scrutare la nostra vita comunitaria, a far circolare aria fresca.
La Chiesa, è bene ricordarlo, non è una comunità di perfetti ma di peccatori perdonati che invitano al cambiamento e testimoniano che cambiare si può. Dio non ha bisogno di supereroi della fede, non serve essere perfetti.
Gesù ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la sinagoga, con “la chiesa” del tempo.
In Marco vi entra tre volte e ogni volta si scontrerà con l’autorità religiosa.
Perché questo? Vi erano (allora come oggi) due visioni inconciliabili che si scontravano.
Per la sinagoga era fondamentale l’appartenenza. Si poteva entrare e partecipare se si accettavano le regole, i comandamenti, se si rispettava la Bibbia. Chi non ce la faceva, chi era impuro, non poteva partecipare.
Invece per Gesù, al centro, c’era la vita! Non a caso la grande chiesa di Gesù fu il mondo.
Gesù era circondato, quasi sempre, da persone che non riuscivano a seguire le norme che la religione imponeva.
Gesù non ha mai usato il criterio dell’appartenenza, ma sempre il criterio della vita, del cuore!
Perché Marco mette proprio all’inizio del suo vangelo questo episodio?
Credo che molti di noi lo capiscano, soprattutto chi è giovane da più tempo.
Era stato detto alla gente di allora (e forse anche a noi) che se credi in Dio, devi mettere un po’ da parte l’affettività, perché sono cose pericolose; meglio non lasciarsi andare troppo alla gioia e pensare a chi sta peggio; devi fare qualche rinuncia, qualche sacrificio, e non divertirsi troppo perché viene dal demonio…
Poi arriva Gesù, sbaraglia tutto e dice: “Guardate che tutto ciò a cui rinunciate “per Dio” viene da Dio. Non è Dio che vi chiede di rinunciare a questo! Anzi Dio vuole che voi viviate e viviate nella pienezza e nell’abbondanza” (Gv 10,10).
E allora la gente si arrabbia (ieri come oggi) perché si rende conto che la fatica non le ha portate vicino a Dio ma le ha solo portate a reprimere la loro vita. Allora si rendono conto che pensavano di agire “in nome di Dio” (proprio come gli scribi) ma hanno agito “contro” Dio, mortificando la loro umanità.
E’ uno strazio accettare questo («lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui») perché ci spinge a rivoluzionare la nostra vita, dobbiamo cambiare tutto. Curioso che, prima dell’arrivo di Gesù, l’uomo posseduto se ne stesse tranquillamente in sinagoga. Amico lettore, non esiste chiesa che possa renderti immune dal male. E’ nel tuo cuore che si fronteggiano lo spirito di Dio e lo spirito del male. Ecco il senso dell’espressione: «Che vuoi da noi, Gesù di Nazareth? Sei venuto a rovinarci?». Non fuori, ma dentro, nella sinagoga, nella comunità. Per questo l’affermazione dell’indemoniato è terribile.
Il vangelo è liberante per chi ama la vita ma straziante per chi vuole semplicemente obbedire.
Colpisce che la prima parola rivolta da Gesù all’indemoniato sia un invito al silenzio: «Taci». Marco utilizza un verbo molto forte che richiama il gesto di mettere la museruola. Per essere trasformati dalla Parola occorre stare in silenzio, fermarsi, interrompere le frenesie pastorali e dare tempo al seme gettato di marcire e portare frutto.
Lo Spirito ci invita a partire da “dentro”, a metterci in discussione, a partire dai più vicini (o da quelli che si credono tali…).
Il demonio sa bene chi è Dio e vuole tenercene lontano!
Amico lettore, il Signore ci liberi da ogni fede demoniaca!
E’ demoniaca una fede che sente Dio come un rivale dell’uomo, che immagina Dio come colui che toglie, non come colui che dona.
E’ demoniaca una fede che si anestetizza appena usciti dalla porta della Chiesa e rimane sopita per sei giorni.
E’ demoniaca una fede che cerca un Dio lontano e irraggiungibile.
E’ demoniaca una fede alimentata da paura mista a superstizioni e scaramanzia.
E’ demoniaca una fede che rimane rinchiusa dentro il recinto del sacro, che profuma solo di incenso e sacrestia, e non conosce gli odori della strada, delle case, della fraternità.
E’ demoniaca una fede che ci gonfia di presunzione e ci fa sentire in dovere di giudicare chiunque. Insomma, una fede che non cambia la vita, il nostro modo di gestire le cose del mondo, non ha senso. E’ una finta fede.
La bella notizia di questa domenica? Per Gesù il valore era la Vita e oggi ci dice: “Vuoi vivere? Ti senti bisognoso? Vieni qui. Non importa se tu sei buono o cattivo, puro o impuro. Se hai questo desiderio, vieni qui e seguimi”.
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