In ricordo del medico Paolo Giaccone. Il suo no alla mafia gli costò la vita. Un modello da seguire.

Paolo Giaccone nasce a Palermo nel 1929 da genitori che erano medici. Divenne medico anche lui e per la sua funzione di medico legale fu ucciso tra i viali del Policlinico di Palermo l’11 agosto 1982. Oggi il Policlinico di Palermo prende il suo nome.

Nacque a Palermo in una famiglia di medici: il padre, Antonio, era primario di ostetricia e ginecologia. Anche il nonno e il bisnonno erano stati medici: il primo medico condotto e ufficiale sanitario a Bisacquino, il secondo a Caltabellotta. Frequentò l’Istituto Gonzaga, conseguendo il diploma di maturità classica nel 1947. Successivamente si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università degli Studi di Palermo. Nel 1953 si laureò con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi in ematologia forense. Dopo la laurea frequentò importanti laboratori scientifici a Parigi.

Un lavoro realizzato da studenti per ricordare Paolo Giaccone

Docente universitario, insegnò antropologia criminale alla facoltà di giurisprudenza, e fu ordinario di Medicina legale alla facoltà di medicina dell’università di Palermo. Giaccone divideva il suo impegno tra l’istituto di medicina legale del Policlinico, che dirigeva, e le consulenze per il palazzo di giustizia.

Aveva ricevuto l’incarico di esaminare un’impronta digitale lasciata da uno dei killer che, nel dicembre del 1981, avevano scatenato una sparatoria tra le vie di Bagheria, con quattro morti come risultato. L’impronta, che apparteneva a Giuseppe Marchese, esponente di primo piano della cosca di Corso dei Mille, era l’unica prova che poteva incastrare gli assassini. Il medico ricevette delle pressioni perché aggiustasse le conclusioni della perizia dattiloscopica. Giaccone rifiutò ad ogni invito e ad ogni minaccia, e il killer, fu così condannato all’ergastolo.

L’11 agosto 1982, mentre si recava all’istituto di medicina legale, Giaccone fu raggiunto tra i viali alberati da due killer e ucciso con 5 colpi di pistola Beretta 92 parabellum.

In seguito il pentito Vincenzo Sinagra rivelò i dettagli del delitto, indicando come esecutore materiale il killer Salvatore Rotolo, che perciò venne condannato all’ergastolo nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra, nel quale furono giudicati anche i mandanti dell’omicidio (Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Antonino Geraci), condannati pure alla pena dell’ergastolo.

Fonte Wikipedia 

 


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