Marco racconta un incontro fallimentare tra Gesù e un uomo che a Lui si avvicina. Cosa non ha funzionato? Perché il contatto col Maestro non ha suscitato conversione, tanto che quel «tale» rimarrà anonimo, senza il nome e l’identità nuovi che il discepolo riceve? L’evangelista fotografa un possibile esito della relazione con Cristo, che non si sottrae al rischio della libertà.
Sembrerebbe che la libertà di questo viandante sia spontaneamente consegnata a Gesù, poiché egli si getta in ginocchio dinanzi a Lui, mosso da un bisogno di verità riguardo alla propria vita. È ammirevole che un uomo cerchi il senso e la pienezza del proprio esistere ed è legittimo che pensi di dover partire da un personale ‘fare’.
L’individuo difatti non può rimanere inerte e per sua natura deve sentirsi artefice dei propri sogni: poter fare ciò che piace è probabilmente una delle esperienze che più realizzano la persona. Tuttavia ci sono delle cose che si ricevono e basta, soprattutto quando si ‘ereditano’. L’eredità è prerogativa dei figli e un figlio è chiamato non ad inventare la vita, ma a custodirla ed accrescerla.
Gesù subito orienta il desiderio di «vita eterna» del suo interlocutore al rapporto con Dio, cui solo spetta il titolo di «buono»; l’applicazione della stessa attribuzione a Cristo avrebbe dovuto indirizzare l’uomo, già «per la strada», sulla strada del riconoscimento di Gesù come via della vita.
Eppure non sarà così, forse perché anche oggi non si comprende la bontà di Dio, non si capisce che Egli solo ti dona la libertà di essere, mettendoti al riparo dalla brama di possedere cose e persone. Cristo cita i comandamenti verso il prossimo sia perché ancora l’uomo non ha una profonda esperienza di Dio, sia perché la relazione con i fratelli è primaria alla coscienza; la menzione dell’altro dal volto uguale al mio permette di uscire da sé e da una religiosità autoreferenziale, ponendo al vertice l’onore dovuto ai genitori, evocatore della relazione con Dio.
La risposta del pellegrino suona come una dichiarazione della propria giustizia, perché «tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Ma è sufficiente conoscere da sempre una persona per affermare di poterne cogliere il mistero? Nello sguardo d’amore di Gesù sta la risposta. È come se Cristo chiedesse: ‘Da cosa è animato il tuo seguire il Signore? Ci stai mettendo il cuore in quello che fai?’. «Una cosa sola ti manca»: se non si parte dalla percezione della propria manchevolezza dinanzi a Dio, non si progredirà mai nella sequela.
Gesù dunque lo invita ad un cammino più radicale e liberante, poiché sa bene che in esso sta il segreto di una vita riuscita. Le due coppie di imperativi («va’, vendi… vieni! Seguimi!») indicano il movimento del discepolo, chiamato anzitutto al distacco dai propri beni, alla libertà del cuore, al rischio dell’amore senza che si faccia affidamento su altro.
Se questo previo allontanamento non si compie, non sarà possibile avvicinarsi alla novità che il vangelo intende donare, permettendo una vicinanza al cuore di Cristo mai sperimentata prima. E inevitabilmente l’uomo se ne va triste, non avendo avuto il coraggio di accettare quel momentaneo vuoto che solo Gesù avrebbe riempito, preferendo colmarlo con ciò che già gli era noto, anche sul piano religioso.Il Maestro fa di questo episodio fallimentare un’occasione per ricompaginare i suoi attorno alle esigenze del regno che, essendo la vera ricchezza dell’uomo, non ne tollera altre. La difficoltà che i discepoli colgono e che Gesù non nasconde per entrare nella vita eterna, rivela una più grande verità: la salvezza non è accessibile alle capacità umane; tuttavia ciò che è «impossibile agli uomini, è possibile a Dio».
Se lasciare tutto fa paura, la promessa di Dio è la certezza che si riceverà cento volte tanto. È suggestivo osservare la successione della disgiuntiva ‘o’ riguardo alla rinuncia, volendo sottolineare che per il discepolo la perdita è una, cui prende il posto la successione della congiunzione ‘e’, che evidenzia la molteplicità di acquisizioni del seguace di Cristo.
Nella sua trasparenza, Gesù non nega le persecuzioni, che provano la libertà dell’uomo e ti danno l’opportunità di ribadire il primato di Dio, ma assicura la vita eterna. Lo sguardo che penetra il discepolo costituisce un invito ad alzare gli occhi perché ciò che verrà è molto più grande di ciò che si è lasciato. A noi la responsabilità della scelta. Il tale avvertì l’abbraccio di Gesù troppo stretto: e noi sappiamo giocarci la libertà con Lui e nel dono ai fratelli?
Don Antonino Sgro
Rubrica a cura di Giuseppe Fumia
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